Amianto, in rivolta 600 ex operai della Marzotto di Salerno

Amianto, in rivolta 600 ex operai della Marzotto di Salerno
di Giovanna Di Giorgio
Venerdì 21 Marzo 2014, 23:26 - Ultimo agg. 22 Marzo, 08:35
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La storia di un diritto negato. La storia di un cavillo procedurale che fa pendere la bilancia di madama giustizia da un solo lato, secondo due pesi e due misure. Una storia tutta salernitana, cominciata a ridosso degli anni ’60 in via generale Clark e tristemente finita, a distanza di circa cinquanta anni, nelle aule di un tribunale. Hanno lavorato per anni spalla a spalla, gli operai della ex Marzotto. Hanno cucito, stirato, confezionato abiti da uomo ogni giorno, per otto ore, senza interruzione. Abiti estivi d’inverno e invernali d’estate. Sono diventati amici, qualcuno addirittura marito e moglie. E compagni di battaglia. Ma dei circa 1200 che hanno prestato la loro opera presso la grande fabbrica tessile, molti, oggi, non ci sono pi. L’amianto, al quale sono stati esposti per anni, ha presentato loro il conto.



Gli altri, però, non hanno alcuna intenzione di arrendersi. Non ci stanno a vedersi negare un loro sacrosanto diritto: la rivalutazione dei contributi versati e quindi la riliquidazione della pensione. In altri termini, poche decine di euro in più al mese in busta paga. Poche, ma utili per chi, come loro, ha perso il lavoro all’indomani dell’improvvisa chiusura dell’industria e ha dovuto reinventarsi pur di andare avanti. Un diritto, questo, maturato, come una sorta di indennizzo, in virtù dell’accertata esposizione a «rischio morbigeno qualificato».



Lì, negli stabilimenti della Marzotto, circa 1200 lavoratori sono stati esposti per anni alle polveri sottili dell’amianto. Da quando l’opificio ha aperto i battenti, il 3 marzo del 1959, a quando, nel 1985, li ha sbarrati per sempre lasciando intere famiglie senza lavoro. Lo ha stabilito una complessa Ctu ambientale, disposta dalla sezione lavoro del tribunale di Salerno nel 2008. Non l’amianto presente nell’eternit utilizzato come materiale di copertura, no. Ma quello che ogni giorno, per ogni giorno della settimana e per almeno otto ore al giorno, si diffondeva nell’ambiente ogni volta che le macchine da cucire erano bloccate dal ferodo presente nei motori.



A quel tempo, infatti, nessuno aveva la più pallida idea del rischio che correva. E non avrebbe potuto averlo. Solo più tardi si sarebbero scoperti i danni che l’amianto può arrecare alla salute. Al contrario, in quegli anni, lavorare alla Marzotto era un privilegio. Quello di via generale Clark era uno degli otto stabilimenti aperti in Italia dalla famiglia di Valdagno. Un lusso per una città piccola come Salerno, allora guidata da Alfonso Menna. Oggi, paradossalmente, ognuno di loro ha una posizione diversa nella lotta che stanno combattendo. Mentre tanti loro colleghi non ci sono neanche più. Molti se li è portati via il cancro. Alla vescica, per lo più, o alla mammella. In qualche caso anche alle tonsille e al fegato. Il paradosso è tutto qui: la disparità di trattamento per la stessa, identica situazione. C’è chi, infatti, accertata l’esposizione al «rischio morbigeno qualificato» – un rischio superiore, cioè, ai valori di tollerabilità stabiliti da apposita norma – ha visto riconoscersi il diritto a una rivalutazione dei contributi versati ai fini pensionistici. Presentata la domanda amministrava all’Inail e fatto ricorso ai tribunali di Salerno, Nocera e, nella maggior parte dei casi, alla Corte di Appello del capoluogo, l’hanno spuntata sull’Inps. Sono circa 600 le domande inoltrate all’Inail e 450 le controversie instaurate innanzi agli organi di giustizia. Molte, soprattutto a Nocera, si sono chiuse al primo grado, senza che l’Inps presentasse neppure appello. Altre, invece, sono arrivate in secondo grado, sempre con sentenze in favore dei lavoratori. Circa 300, infatti, sono state le sentenze favorevoli agli ex operai. Fino a quando, un anno fa, l’amara sorpresa. La mossa, cioè, che proprio non ci si poteva aspettare. L’Inps ha incardinato dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione circa un centinaio di cause per ottenere la cassazione delle sentenze emesse, sulla base di una mera questione procedurale. Senza, quindi, nessuna obiezione di merito.



Del resto, non avrebbe avuto senso mettere in dubbio un’acclarata esposizione all’amianto.

Ora sono tutti uniti in una battaglia per la quale sono disposti ad andare avanti a oltranza. Giurano che, se dovesse essercene bisogno, andranno direttamente a Strasburgo. Hanno deciso di chiedere aiuto alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Sperando che lì, novella Berlino, ci sia ancora un giudice.
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