Canalone, giù nella discarica: l'incubo nascosto nel verde

Canalone, giù nella discarica: l'incubo nascosto nel verde
di Piera Carlomagno
Giovedì 23 Ottobre 2014, 22:15 - Ultimo agg. 24 Ottobre, 10:01
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SALERNO - I ganteschi alberi di noci, fichi, querce, platani, canne piegate al vento che fischia e viaggia ad altissima velocità nel vallone Canalone. Dentro scorre inesorabile il Fusandola. Non è sporco il letto del fiume che inondò Salerno nel ’54, di più: è un bosco fitto e una discarica, è un mistero inestricabile, un progetto - se ci fosse - da milioni di euro. Il corso dell’acqua raccontato da chi là ci abita parte dall’Incarto, precipita nel vallone, subisce una brusca battuta d’arresto sotto il viadotto Gatto, s’infila nel sottosuolo sotto la chiesa dell’Annunziata alle Fornelle e poi esce a mare, Santa Teresa, piazza della Libertà. Come è possibile – si chiedono gli abitanti di Canalone – che la furia che sentiamo noi nelle notti di pioggia, diventi un docile rigagnolo giù nella città antica e verso il mare? Il grido d’allarme di Canalone è rivolto alla città. «Che non accada mai, ma se l’acqua dovesse aumentare ancora, dovrebbe passare sugli alberi e i detriti, sarebbe una catastrofe, non per noi, ma giù a valle», avvertono.

Se ne parla nelle riunioni di condominio, nei comitati, su per una stradina che sembra portare in cielo per quanto è ripida e stretta, eppure è il cuore del quartiere. Canalone, rione storico, che si aggrappa alle pendici del monte Bonadies e anticamente era fuori dai confini di Salerno. Sarà per questo che anche oggi i TomTom portano la gente fuori strada e i turisti che passano da Salerno diretti a Napoli tante volte si trovano con le loro auto incastrati tra le mura di via Paisano, San Leone, della Valle, via padre Gabriele da Foria o via di Croce in alto. Perché mica è facile percorrere le vie di Canalone in macchina per chi lo fa per la prima volta. Loro, gli abitanti, si sono attrezzati con motorini e vanno su e giù per quello che in fin dei conti è il loro corso principale, ma da anni hanno chiesto un semaforo a tempo, senza ottenerlo. Lo racconta Filomena Citro («La strada, mi raccomando, parlate della strada»), che ha una bella casa con vista mare su in alto, addossata a quella che loro chiamano Incarto. Il mistero fitto è lì: nella parte alta del vallone, da dove esce acqua da tutte le parti, dove si tagliano alberi selvaggiamente, si scavano sentieri senza permesso, si allevano, si uccidono, si scuoiano e si vendono animali. Carne. Senza controlli. Ma questa è un’informazione senza mittente, nessuno si prende la responsabilità di dichiararlo. «Quassù non arriva il postino, non ci sono le targhe delle strade, si parcheggia ovunque, un’ambulanza non potrebbe arrivare mai» dice Tina Cerra, ex parrucchiera, che abita a metà di quel sentiero irreale.

Scale, scalette, orti terrazzati e alberi di alto fusto. Dentro, ficcate alle pendici del vallone, baracche, tante, vuote o stipate di cani da caccia, anche un allevamento di setter c’era, aggredite dalla vegetazione. Eternit lasciato là come monumento all’incuria, in una valle che potrebbe essere il paradiso ed è l’inferno. Quando qualche anno fa il Comune ci passò, lasciò un sentiero lastricato che fa bella mostra di sé in un contesto di degrado e una piazzetta affacciata sui fiori e le aiuole che ora sono deposito e coltivazioni private. «Ci sono i comunali, ci sono anche oggi, stanno pulendo le briglie lì dove gira l’autobus – avverte Elena Memoli, barista e cuore del rione – Ma serve a poco. È su che dovrebbero arrivare, è dentro il letto che dovrebbero lavorare». È a lei che si rivolgono tutti, il suo bar è tappa fissa per gli studenti di quel Conservatorio che è segno e vanto del quartiere: «Qui manca anche la pulizia delle strade, abbiamo i topi e di notte c’è un via vai di macchine. Sul Picco del Nibbio si può fare di tutto, controllando dall’alto che non salgano le forze dell’ordine. Lì hanno scaricato anche le palme malate».

Poi, quando piove tanto dall’alto arriva di tutto, bidoni, rifiuti vari. «Una volta qui c’era lo stradaiuolo – racconta Rosario Pascale, ex portuale – che metteva a posto la strada ogni volta che ce n’era bisogno. Oggi le vecchie briglie costruite dopo l’alluvione, non funzionano più. Bisognerebbe rifare i lavori».





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