Strage di Sassano, la rabbia dei familiari: «L'investitore? La sua condanna è vivere con la colpa»

Strage di Sassano, la rabbia dei familiari: «L'investitore? La sua condanna è vivere con la colpa»
di Pasquale Sorrentino
Lunedì 29 Settembre 2014, 23:00 - Ultimo agg. 30 Settembre, 12:32
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Sassano. «La sua vera condanna, la vera condanna di chi guidava, è restare in vita con la consapevolezza di aver ammazzato quattro persone». Arrivano parole di fuoco verso Gianni Paciello, il conducente dell’auto. A pronunciarle è un cugino di una delle vittime davanti all’ospedale di Polla.

«La sua vera condanna è vivere», incalza. La rabbia c’è. In tanti se la prendono con il 22enne arrestato per omicidio. La rabbia c’è e si mescola al dolore. Ma c’è anche il ricordo. «E ora chi si prenderà cura di me?». Mariagiustina ha 22 anni da una decina di giorni. Ha il viso dai lineamenti gentili e occhi profondi. Gran parte della sua giovane vita l’ha vissuta al fianco di Nicola. Un amore che nasce tra i banchi di scuola, che cresce tra le vie del proprio paese. Sassano fa da cornice a una magnifica storia d’amore. All’inizio adolescenti e «cotti».

Poi giovani e sempre più innamorati. Nicola è il barista, occhi gentili e sorriso pronto. Gentilezza estrema e sempre pronto ad allungare una mano per aiutare. Anche lui ha 22 anni.

Chissà quanti sogni e progetti costruiti stretti in un lungo abbraccio, chissà quante volte hanno parlato di un futuro insieme, di una famiglia da costruire, di una casa di condividere. Magari dei figli, dei nomi da dare loro. Mariagiustina e Nicola rappresentano – per chi racconta di loro a Sassano – l’Amore. Quello con la A maiuscola, quello da film, quello da favola. Ma questa favola non ha il lieto fine, questo film è stato interrotto troppo presto, in una maledetta domenica pomeriggio, davanti al bar dove Nicola lavora, dove Nicola trova la morte.

Mariagiustina sente il dolore appropriarsi di sé, un dolore troppo grande da affrontare. Nicola, il suo amore, muore trafitto da un’auto diventata proiettile per una folle, assurda, corsa. Su Facebook, il luogo virtuale dove avevano condiviso con amici e conoscenti il proprio amore tra foto di loro due abbracciati e messaggi d’amore vero, scrive poche, intense, parole. «E ora chi si prenderà cura di me? Non ho più niente. Mi è crollato il mondo addosso. Come faccio senza te?».

I messaggi di cordoglio arrivano, innumerevoli, servono per sostenere, o almeno tentare di farlo. Servono per dire che Mariagiustina non è da sola ad affrontare questo immenso dolore. Sassano piange i propri figli, Sassano non vuole lasciare Mariagiustina e le famiglie delle vittime da sole. Vuole stringersi attorno a loro, tentare di sostenere.

«Condividere il dolore», chiede don Bernardino. E le lacrime sgorgano senza imbarazzo tra i giovani e i meno giovani che sfiorano il luogo della tragedia. Che lo guardano con occhi smarriti in cerca di risposte che non arrivano. Gli amici si abbracciano davanti al luogo dell’impatto. I compagni di scuola, zaino in spalla, poggiano un mano sulla saracinesca da poco ripulita dal sangue. «Erano angeli», raccontano.

C’è chi ripercorre cosa è accaduto poco prima delle 16.40. Torna indietro di un giorno e racconta. «Ero sulla strada, a cinquanta metri da qui», indica con il braccio la strada che porta verso Teggiano. «Ero davanti all’altro bar insieme a un amico. Abbiamo sentito un rombo, abbiamo visto un macchia nera schiantarsi a una velocità assurda contro il bar. Poi c’è stato il vuoto. Un vuoto terribile, come di aria risucchiata. Il mio amico ha detto: sembra un’auto che è andata a sbattere. Io all’inizio non mi sono reso conto, poi ho cominciato a correre verso la rotonda. Di fronte mi sono trovato una scena straziante. I corpi erano privi di vita, schiacciati. Il conducente è rimasto in auto. Volevamo fare qualcosa per spostare l’auto. Ma che potevamo fare a mani nude? Abbiamo chiamato i soccorsi, poi il resto lo sapete». Occhi lucidi, voce ancora incredula, sfiora il muro della casa danneggiato dalla vettura. «Incredibile».

Tutti ricordano con affetto Daniele, Luigi, Giovanni e Nicola. I primi tre, più piccoli, sempre insieme in bici. L’altro, più grande, dietro al bancone o ad aiutare la madre. Daniele, ad esempio, amava il basket. Il suo coach, Annalia Cutolo, lo ricorda con estremo affetto. Scrive così sempre su Facebook: «Una telefonata, e la disastrosa notizia. Un pensiero va a te Daniele. Ti accompagnavo sempre a casa dopo l’allenamento, mi facevi disperare in campo ma apprezzavo sempre la tua schiettezza e allegria. Ti chiamavo ”rosso mal pelo”». Ricordi simili per l’allenatore di calcio di Giovanni Femminella, il talentuoso piccolo fantasista. Un numero dieci, insomma, tifoso del Napoli. Così come il popolo del web ricorda e piange il più piccolo dei quattro: Luigi. «Fratellino mio ti prego dimmi che non è vero, non riesco ancora a crederci nn voglio, non puoi lasciarmi così, abbiamo ancora tante and da fare», scrive un’amica. I messaggi su Facebook si moltiplicano. Sulle bacheche delle quattro vittime il ricordo di amici e conoscenti fa emergere una chiara immagine del gruppo di amici: sorridenti, felici, gentili e pieni di voglia di vivere. «Non vi dimenticheremo mai». «Come faremo senza i vostri occhi sorridenti?». «Non ci posso credere». Le frasi piovono sempre più copiose. Come le lacrime del Vallo di Diano.

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