Vacanze salernitane, la fuga dalla «zumba»

Vacanze salernitane, la fuga dalla «zumba»
di Claudio Grattacaso
Lunedì 1 Settembre 2014, 11:34 - Ultimo agg. 11:35
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Cos’ che spinge una persona adulta sana di mente a ballare la zumba alle undici di un mattino torrido di agosto sulla pedana di uno stabilimento balneare? Fino a qualche anno fa bisognava essere sotto l’effetto di un allucinogeno per immaginare amplificatori e casse acustiche alte due metri installati sulla spiaggia, coi bassi che ti sfondano lo stomaco e istruttrici dalle magliette fosforescenti che urlano al microfono passi di danza come comandi militari. Un rave in pieno giorno, al quale tutti sono costretti a prendere parte, avendo per giunta pagato per ombrellone e sdraio. Cos’è che fa credere a persone adulte sane di mente (proprietari di stabilimenti balneari compresi) che la gente, ogni singola persona che costituisce la gente, sia felice di farsi spaccare i timpani da musica sparata ad alto volume in orario da aperitivo? È vero, nessuno obbliga il bagnante a ritornare in quello stabilimento, a meno che non sia il posto in cui ha prenotato tutte le sue vacanze. E infatti, il vacanziere in cerca di quiete torna a casa, digita su internet le parole chiave spiaggia+tranquillità e trova finalmente una spiaggetta, un angolino di costa appartato raggiungibile solo dopo una via crucis nel traffico della costiera e una ripidissima discesa a mare formata da quattrocento scalini tagliati nella roccia. Meglio questo che la faccia sorridente della cinquantenne che dimena i fianchi adiposi al ritmo di zumba, pensa a ogni gradino. Meglio questo che il pareo a fiori della suddetta cinquantenne, dei suoi infradito col girasole, degli schiamazzi diurni di un nugolo di edonisti in cerca del divertimento a tutti i costi. Il vacanziere in cerca di quiete si fa un bagno come si deve, lui e la sua famiglia. Non totalmente come si deve, in verità, perché mentre è sdraiato sul materassino non fa altro che pensare ai quattrocento gradini da risalire, al traffico del rientro e alla sauna che lo aspetta. Ha un’idea geniale: prenota per la settimana seguente un alberghetto nei dintorni, così frega le macchine, il sudore e la mancanza di parcheggio. Anzi, fissa una camera in un agriturismo, qualcosa che già nel nome prometta rilassatezza bucolica e pace: Il Covo degli Angeli, La Collina dei Pettirossi. Errore imperdonabile. A meno di duecento metri in linea d’aria dall’agriturismo c’è un bar e alle dieci di sera, con una puntualità cronometrica inconcepibile al sud, parte il karaoke. Decenni di repertorio melodico vengono massacrati senza ritegno da ugole stonate, voci stridule di nonne e di bambini si alternano a timbri baritonali di signori che scimmiottano Pavarotti, in un repertorio che va da Heidi ti sorridono i monti a Perdere l’amore. Tutto questo fino alle due. Seguirà uno strascico di persone che hanno scelto l’area sottostante la camera del vacanziere per chiacchierare amabilmente fino all’alba. Il vacanziere comincia a pensare che cedere al sonno prima che il gallo canti sia un delitto, una forma di asocialità non consentita a un uomo del ventunesimo secolo. Comincia a credere che il binomio riposo-silenzio sia soltanto la sua ingenua maniera di rimanere ancorato al passato, il polveroso sintomo di una inguaribile sindrome malinconica. Si ricorda del suo vecchio stabilimento balneare, del jukebox che gracchiava una musica da pochi decibel. Al termine del brano, il braccio meccanico tornava al suo posto e riprendevano a frinire le cicale, il vento muoveva le foglie degli alberi, il mare accarezzava gli scogli. Come è poetico, il vacanziere. Come è stupidamente, anacronisticamente poetico. Le regole sono cambiate, è bene che se lo metta in testa. Confusione, eccentricità, trasgressione: questa è la norma: adeguarsi o morire. E se proprio si ostina a non capirlo, se si intestardisce nel voler appartenere alla generazione perversa di chi crede ancora che il silenzio sia utile, addirittura indispensabile per ascoltare se stessi e gli altri, se crede ancora a quella stupidità che è la profondità dell’animo umano, allora non resta che consigliargli una vacanza in un fiordo islandese o in un rifugio montano ad altissima quota. Forse lì, come il profeta Elia, sentirà il sussurro di una brezza leggera, un venticello soave. Il profumo dolce dell’eternità. Con dentro giusto un piccolo, impercettibile accenno di zumba.





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