Troisi, a vent'anni dalla morte, ecco come l'attore trasformò Napoli

Troisi, a vent'anni dalla morte, ecco come l'attore trasformò Napoli
di Gloria Satta
Mercoledì 4 Giugno 2014, 13:36 - Ultimo agg. 14:07
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Vent’anni fa, il 4 giugno 1994, a soli 41 anni Massimo Troisi moriva nel sonno in casa della sorella, a Ostia: il cuore da tempo malato lo aveva tradito proprio una manciata di ore dopo la fine delle riprese de Il Postino, il film ispirato al romanzo di Skrmeta, diretto da Michael Radford e destinato a commuovere il mondo intero.

Mostre ed eventi celebrano in questi giorni Troisi a San Giorgio a Cremano, la sua città natale ai piedi del Vesuvio.

Ma il ricordo del suo talento non si è mai appannato. Nessuno, in questi vent’anni, ha dimenticato i suoi successi (come Non ci resta che piangere, interpretato con Benigni) e l’originalità dirompente dei suoi film che, a partire dagli anni Ottanta, sbancarono i botteghini e svecchiarono la commedia italiana.

Non solo comico Massimo non è stato soltanto un grande comico, un eroe del cinema dialettale. Ha incarnato una napoletanità del tutto inedita, sganciata dagli stereotipi e in sintonia con i sentimenti delle nuove generazioni, la voglia di viaggiare dei giovani, il ribaltamento del tradizionale rapporto-uomo donna. Niente più pizza e mandolini, tantomeno personaggi rassegnati o malandrini eredi della commedia dell’arte: il nuovo napoletano di Troisi appartiene alla cultura del post-terremoto, è ironico, tormentato, vittima della nevrosi cittadina. E si accompagna immancabilmente a donne forti, figlie del femminismo, abituate a decidere della propria vita e a sovrastare i maschi come la Marta (interpretata da Fiorenza Marchegiani) di Ricomincio da tre.

Il Troisi cinematografico lascia la sua città perché ha voglia di fare esperienze diverse e conoscere nuove realtà, come sintetizza efficacemente la battuta-tormentone di Ricomincio da tre (1981): «Sono napoletano ma non sono emigrato», risponde il protagonista in trasferta a Firenze agli innumerevoli interlocutori convinti che sia partito (magari con la classica valigia di cartone) per cercare un lavoro.

Intellettuale «Massimo non era un attore, ma un intellettuale meridionale concentrato sull’analisi del Sud», ha detto recentemente al Bari Film Festival Ettore Scola, che diresse Troisi in coppia con Mastroianni in due film (Che ora è? e Splendor) e nel Viaggio di Capitan Fracassa gli affidò il ruolo di Pulcinella. «Mentre a Eduardo interessavano l’uomo e la psicologia napoletana, fatta di furbizia e saggezza, Massimo era una persona malinconica e notturna che cercava l’ombra del carattere della sua gente. Mi ha conquistato per la sua volontà tenace di rifiutare, come me, i luoghi comuni sul meridione: la retorica, l’esagerazione, l’ostentata familiarità».

Anche per Mario Martone Troisi è stato un “non allineato” perché ha costruito una napoletanità inedita, antiretorica, più moderna. Secondo lo scrittore Erri De Luca, l’attore ha avuto il merito di riassumere con leggerezza «e senza alcuna aggressività» le debolezze del napoletano «che vive in un clima oppressivo e sotto la minaccia costante del vulcano» in un’epoca in cui ad aver voce erano soprattutto le vittime della camorra.

Eredi Chi ha preso il posto di Troisi? Difficile rispondere. Molti vedono un “erede” dell’attore in Alessandro Siani, il comico napoletano come lui venuto dal cabaret, attuale campione del box office. Qualcuno lo accosta al protagonista di Scusate il ritardo per la sua popolarità presso i giovani e l’umorismo anticonvenzionale. Ma è lo stesso Siani a rifiutare i paragoni: «Massimo è Dio e io sono un semplice chierichetto», ha dichiarato umilmente.

Enzo Decaro, che con Troisi divise la giovanile esperienza nel gruppo della Smorfia e oggi, tra un film e l’altro, insegna Scienze della Comunicazione all’Università di Salerno, racconta: «Eravamo i figli della Napoli anni 70, culturalmente molto ricca, e volevamo abbattere i luoghi comuni. Portavamo il nostro punto di vista semplice ma paradossale, sempre ironico, sulle debolezze della vita. Desideravamo innanzitutto comunicare. E solo in seconda battuta, eventualmente, avere successo».

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