Mina, un compleanno grande grande grande per la «tigre di Cremona»

Mina
Mina
di Federico Vacalebre
Mercoledì 25 Marzo 2015, 13:28 - Ultimo agg. 18:06
4 Minuti di Lettura

Per i suoi 75 anni non ci sarà un «Selfie», titolo del suo ultimo album, uscito l’anno scorso, a blandire l’affetto dei fans. Anche oggi Mina festeggerà a modo suo, nascosta in quel di Lugano, con la sua «assenza-presenza» che ha rotto le regole dello show business in anni di vacche grasse e non è mai tornata indietro: «Mia madre», spiega il figlio Massimiliano Pani, «c’è sempre, e non c’è mai.

Ogni anno propone qualcosa di nuovo, ora rimettendo mano a repertori tradizionali, ora scommettendo su nuovi autori. Manca dalla tv? Non è vero, eccola, con filmati d’annata, con canzoni che lei ha imposto nell’immaginario collettivo, dov’è entrata suo malgrado».

Massimiliano da tempo lavora con lei come autore, produttore, arrangiatore, discografico: l’universo miniano è un archivio sterminato, messo a frutto nel migliore dei modi. Alle novità si alternano gemme d’annata, dvd con le sue apparizioni televisive, raccolte con il suo repertorio in altre lingue...

«Della sua voce è stato detto di tutto, tra i suoi fans eccellenti si annoverano Frank Sinatra e Louis Armstrong, Aretha Franklin e Pedro Almodovar, Jennifer Lopez e Barbra Streisand, Liza Minelli e Luciano Pavarotti.

De André diceva di dovere a lei tutto o quasi, Jannacci che nessuno aveva impersonificato i suoi versi come lei in ”Vincenzina e la fabbrica”.

E la sua immagine camaleontica? Madonna e Lady Gaga e Bjork sono arrivate decenni dopo la sua volontà di stupire, anche se lei ha scelto di farlo sulle copertine dei dischi, e non più sul palcoscenico». La sua voce da soprano drammatico d’agilità messa al servizio del pop non ha più l’elasticità straordinaria degli anni balordi di Baby Gate né la flessibilità totale da urlatrice che sapeva sussurrare le melodie, ma ha acquistato nuove sfumature e profondità, senza mai rinunciare ad un armamentario da virtuosa che usa legati e sospiri e respiri piuttosto che vocalizzi spacconi, tanto su quel campo rivali non ne ha.

Paolo Limiti, suo collaboratore dal tempo di «La voce del silenzio», oltre 45 anni fa, ama ripetere di «essere per lei quello che Mogol era per Battisti, non nel senso che mi sento un paroliere così eccelso, ma che tra di noi c’era, e c’è, un rapporto molto forte. La sua ugola non è stata intaccata dal passare del tempo, anche perché lei non l’ha logorata, “Bugiardo e incosciente” rimane il punto più alto del nostro lavoro insieme, un monumento di bravura che non toglie all’emozione, di solito le due cose si elidono».

Per una volta anche Cristiano Malgioglio torna serio: «È semplicemente la più grande cantante del mondo. Senza se e senza ma». Intanto i ragazzi della generazione 2.1 la scoprono con piacere, magari per uno spot televisivo o perché vanno alla riscoperta dell’originale dopo che, all’ultimo Sanremo, Nek ha messo i Coldplay nel motore di «Se telefonando».

Ma poco sanno di lei, ragazza di Busto Arsizio che divenne la tigre di Cremona, regina delle fiere nello zoo diviso con l’aquila di Ligonchio Zanicchi e la pantera di Goro Milva, ma c’era anche il pulcino di Gabbro Nada, se è per questo. Quanto oggi lei sia centrale rispetto alle ex rivali la dice lunga sul suo primato.

Centocinquanta milioni di dischi venduti (solo Celentano le tiene testa in Italia), record di presenze nella hit parade nostrana, strepitosa soubrette televisiva al fianco di Sordi e Totò, mitica nei duetti con Gaber e Battisti come in quelli kitsch con Alberto Lupo, è stata sacerdotessa di leggerezza con «Tintarella di luna» e «Le mille bolle blu», ma anche madonna dei cantautori più profondi (il De André di «Marinella», gli strepitosi lp jannacciani), sovversiva e scandalosa presenza carnale negli anni bui dell’Italietta democrista e poi assenza quasi altrettanto scandalosa, a dire che «l’intronata routine del cantar leggero» doveva fare a meno di lei, o almeno della sua esuberante fisicità.

«Oggi che editori e discografici quasi non esistono più», ricorda il figlio, «ci sono autori che sperano solo in lei, spedendoci i loro provini sperando che lei li incida». Eccezioni che confermano la regola a parte, in quei nastrini di un tempo, nei file di oggi, Anna Maria Mazzini non ha trovato grandi perle, «limitandosi» ad aggiungere la Voce a melodie e versi di poco valore, ma confermandosi artista anarchica, incapace di soggiacere alle leggi del mercato, desiderosa di compiacere solo se stessa, qualche volta nemmeno quello.

Negli ultimi decenni, pur riconoscendo il talento di un Britti o degli Afterhours, ha sfornato dischi che sono lezioni di stile, di gusto jazzato, ma che non restano a lungo nel cuore e nell’ascolto, non fosse per i progetti monografici sulla melodia napoletana e Modugno o la ritrovata coppia con il Molleggiato. Forse è questo l’augurio che le si può rivolgere oggi, quello di un disco, di una canzone, di una sorpresa capace di ricordarci ancora l’importanza di essere Mina, forma e contenuto esplosivo. E non solo fantasma del palcoscenico.