La canzone della pizza,
anzi la pizza nella canzone

Aurelio Fierro in versione pizzaiolo
Aurelio Fierro in versione pizzaiolo
di Federico Vacalebre
Lunedì 6 Gennaio 2014, 17:10 - Ultimo agg. 18:05
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Dopo le orge enogastronomiche dei giorni scorsi, parlare di cibo pu sembrare inappropriato, ma la maniera scelta da Tommaso Esposito in 'A pizza - Viaggio nella canzone napoletana di sicuro non n indigesta n banale. Nel volumetto, edito da L'arcael'arco per il Museo di Pulcinella di Acerra (pagg. 195, euro 20) e corredato di un cd, si ipotizza una storia minima dell'alimento-simbolo della citt porosa e, nello stesso tempo, della sua melodia popolare. Retorica ed oleografia sono spazzati dalla comprensione di operare su immagini e suoni che sono bandiere di una comunità troppe volte tradita dalla sua stessa iconografia. Non ci sono grandi - nel senso di belle - canzoni sulla pizza, e nel cd le orchestrazioni jazzate di Enzo Sirletti e la voce sensuale di Floriana D'Andrea seguono la narrazione del libro, privilegiando un repertorio sconosciuto, se non quasi inedito, che inizia dallo Sgruttendio («Famme la pizza», prima metà del Seicento, frammento messo in musica dallo stesso Sirletti) per arrivare sino alla celebre «'A pizza» con cui Aurelio Fierro e Giorgio Gaber conquistarono il secondo posto al Festival di Napoli del 1966. Esposito - un cognome perfetto per restare nella leggenda partenopea - segue il filo rosso - color filetto di pomodoro, si intende - che collega i brani scelti per raccontare come oggetto di versi e canzoni fossero le cronache quotidiane, e, quindi, inevitabilmente, quel divino pasto che oggi diremmo glocal fast food. L'immagine della suprema pizzaiola Sofia Loren, sirena impastatrice in «L'oro di Napoli», ricorda il binomio «pizza e zizze», pardon sesso. Parole, dimenticate, e più che dimenticabili, di Enrico Caputo, note altrettanto di poco conto di Framel, pubblicava nel 1955 l'editore Bideri, cantava su 45 giri Marino Marini: «Ah Sophia, ah Sophia!/ Io mi sento d'ascì pazzo/ quando penzo alle tue pizze», e poi, perché nessuno potesse equivocare sull'esplicito doppio senso, di fronte alle grazie della diva, il protagonista «senza scuorno» alluccava «Che briosce!», aggiungendo del dolce al rustico sapore destinato al forno.

Muovendosi tra un Di Giacomo anche qui non casualmente finito nell'oblio («'A pizzaria 'e don Saveratore») fino alla coppia Pazzaglia & Modugno di «'A pizza c''a pummarola» il racconto riconduce ad una canzone «gastronomica», nel senso di cotta e mangiata da e per la comunità a cui era destinata.

Non a caso era la pizzaiola Sufì che sognava il Pino Daniele di «Fatte 'na pizza», non a caso nessun successo arrise alla ricetta confusa e infelice di Berlusconi & Apicella ai tempi di «Na pizza americana».

La pizza non può fare l'americana, almeno non sul fronte di cantaNapoli. È' verace, Margherita e/o Marinara innanzitutto, anche se versi e voce di donna Floriana suggeriscono varianti non sempre golose.

«Sole, pizza e amore», cantò senza tema di oleografico kitsch quell'Aurelio Fierro che poi fu proprietario di diverse pizzerie e si lasciò immortalare con grembiale e pala di fronte a un forno acceso, in un brano firmato dai Cetra Virgilio Savona e Tata Giacobetti. Di «'O pizzaiolo» si occupò anche il sommo Viviani, di «Pizza, popolo e potere» provò a riflettere Pino De Maio, autore con Raffaele Nastro e Vincenzo Esposito, mentre al Far West metronapoletano di certi B movie guardarono Tony Iglio e Antonio Moxedano ai tempi di «Pizza ammore e spara spara».

Lo stereotipo, insomma, nasce dalla cronaca quotidiana e spicciola, (con)fonde reclame e elogio dei sensi, saperi e sapori, piacere epidermico ed escapismo trionfante.

Alla fine, tra immagini e suggerimenti dalla terra dei cuochi (di pizze), finisce che persino in giorni come questi si possa aver voglia farsi una pizza c''a pummarola 'ncoppa. Ma divergendo da un consiglio per gli acquisti del libro: si mangia con la birra, non con il vino, anche se va di moda dirlo: produciamo più vino che birra, si sa.
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