Rocco Hunt e don Patriciello, un concerto per la Terra dei fuochi

Rocco Hunt e don Patriciello nella parrocchia di Parco Verde, a Caivano
Rocco Hunt e don Patriciello nella parrocchia di Parco Verde, a Caivano
di Federico Vacalebre
Venerdì 13 Giugno 2014, 16:41 - Ultimo agg. 17:40
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Parco Verde, Caivano, epicentro della Terra dei fuochi. Rocco Hunt arriva nella chiesa di don Patriciello in un infuocato pomeriggio domenicale di un’estate in anticipo. È dai giorni del trionfo sanremese che aveva deciso di venire a trovare il padre coraggio, di «chiedergli come potevo mettermi a disposizione di una causa troppo importante per pensare che la possa risolvere un cantante o una canzone».



Finalmente ha trovato l’occasione propizia. Padre Maurizio è appena tornato da Bologna, dove ha incontrato la Camusso, il diciannovenne salernitano lo segue in chiesa intimidito: «Ho cantato la voglia di non veder morire la mia terra, la nostra terra, ispirato proprio dalle parole e dagli scritti di Patriciello, ma ora che ho sono qui mi sembra di essere piccolo piccolo in una cosa troppo grande per me», sussurra, con ancora i roghi visti per strada negli occhi. E nel cuore il sorriso mesto dei piccoli pazienti oncologici visti la mattina prima: «Ero a Napoli, ma nessuno di quei cuccioli era del capologuo, venivano tutti da Caivano, Casale, ”questa non è la Terra dei fuochi”, canto io ormai quasi ogni sera, ma quei fuochi, quei bambini...».



Don Maurizio lo abbraccia, lo consola, gli sorride: «I fuochi li hai visti, i bambini pure. Qui si continua a bruciare e a morire. Michele aveva 49 anni e tre figli. Viviana è vissuta solo cinque anni, di cui quattro in ospedale. Alessio se n’è andato a 25 anni, una mamma di Marcianise a 36, lascia quattro figli. Ogni giorno aggiorniamo l’elenco. Ora persino il direttore del Pascale, Pedicini ammette che in questa striscia maledetta ci si ammala di più di tumore, si muore di più e prima. Eppure questa dovrebbe essere campagna». Rocco sta zitto, il suo manager Agostino Migliore, al suo fianco dagli inizi, evita il suo sguardo: come nell’ospedale oncologico, ci sono cose dure da digerire, altro che canzonette.



Patriciello, circordato dai suoi volontari e da un pugno di bambini felici di vedere una star a casa loro, continua: «Grazie a tante persone di buona volontà - giornalisti, ambientalisti, qualche raro politico illuminato - eravamo riusciti a far cadere la cortina di silenzio in cui avevano confinato il nostro dramma. Quando abbiamo sentito la tua canzone all’Ariston abbiamo pensato ad un segno del Signore, era bello vedere un ragazzo aiutarci così, lanciare un messaggio duro ma di speranza. Ed è bello vederti qui ora. Ora, però... si è fermato tutto, non si cercano i mandanti, si interrompono i prelievi di terreno per verificare il livello di contaminazione. Forse perché dalle parole di Iovine hanno scoperto che davvero c’è sotto, è il caso di dirlo, qualcosa di molto più grave, come le scorie nucleari, oppure è l’ennesimo teatrino che vuole insabbiare tutto. Ma non moriremo nell’indifferenza, Rocchino».



Questa terra non deve morire. Con un groppo alla gola, Hunt sente i ragazzi che fuori dalla chiesa intonano «’Nu juorno buono» con una chitarra. Li raggiunge, canta con loro, emozionato, don Maurizio resta lontano, guarda i suoi ragazzi, anche Rocco gli sembra cresciuto in quelle lande desolate. A fine pezzo Hunt si fa pensoso: «Cosa posso fare di concreto? Come possiamo rilanciare il grido di una terra che non deve morire?» «Facciamo sentire il nostro accento», risponde il prete che sogna «nu juorno buono» per la sua terra, «facciamo un concerto qui fuori». Come detto fatto: appuntamento il 2 luglio, a Caivano, Parco Verde, ingresso libero. E uno slogan chiaro: «La nostra terra non deve morire», un po’ rap, un po’ preghiera, un po’ esorcismo.
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