La Capria: «Così dirò addio all'amico Luca De Filippo»

La Capria: «Così dirò addio all'amico Luca De Filippo»
di Silvio Perrella
Lunedì 30 Novembre 2015, 08:35
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È impossibile non risalire da Luca a Eduardo De Filippo; è impossibile non pensare che con la sua morte così severamente precoce non si chiuda un processo creativo di lungo periodo. Eduardo ha significato il Novecento e le sue dissonanze; Luca si è fatto portatore di quel secolo fino ai nostri giorni. Si sa, le convenzioni storiche non sempre corrispondono alle azioni che vorrebbero descrivere. E in certi casi i secoli s’infilano l’uno nell’altro. Il Novecento e la fine del Novecento si danno la mano e allo stesso tempo si voltano le spalle. Presepio e non presepio; voci di dentro e voci di fuori; essere padri ed essere figli, oltre che fratelli.

La famiglia De Filippo e quasi due secoli si specchiano l’una negli altri. E Napoli sta al centro come un mediatore potente e ramificato. Uno scenario e un pullulare di voci, finiti entrambi nel gesto di traduzione del teatro. Raffaele La Capria ha la voce di chi tutte queste cose le sa per esperienza personale; e in più, in questo caso, c’è il di più di una necessaria vicinanza fisica a Carolina, la moglie di Luca e la figlia di Francesco Rosi. «Sì, io mi sono riscoperto in questi giorni padrino di Carolina, ce n’eravamo tutt’e due per anni dimenticati. Quando Carolina nacque, Franco volle che fossi io il suo padrino. In questi giorni, dopo la terribile notizia della morte di Luca, ho sentito che questo ruolo si manifestava prepotentemente nell’animo mio, come una sorta di protezione paterna che volevo offrire a Carolina nei giorni del suo grande dolore. Grande anche perché Carolina e Luca non erano soltanto marito e moglie nella vita e nell’arte, ma perché erano innamorati l’uno dell’altro, e questo amore rende più atroce il dolore».

Ma quali sono stati i tuoi rapporti diretti con Luca? «Non ci siamo molto frequentati, ma eravamo amici e ci conoscevamo benissimo, anche perché quando Luca era ancora adolescente mio fratello Pelos, noto su tutte le spiagge di Positano e di Capri per la sua vita gioiosa e piena d’immaginazione, si era dato il ruolo di precettore di Luca, e cercava di portarlo fuori nei modi più estrosi e disobbedienti dal solco educativo che gli aveva imposto Eduardo. Pur essendo amico di mio fratello Pelos - erano famosi i dialoghi tra Eduardo e Pelos, che si sfottevano a vicenda -, Eduardo vedeva di malocchio quest’amicizia con Pelos, perché rendeva Luca troppo indipendente».

Pelos nel ruolo di precettore paradossale di Luca mi sembra una nota che forse può alleggerire il clima mesto e difficile del commiato. «Per dire com’era mio fratello Pelos e come affascinava l’immaginazione degli amici, ricordo che un giorno in barca, una ragazza che lui voleva conquistare, gli domandò che ora era e lui che aveva al polso un rolex d’oro le rispose: è mezzogiorno, ma secondo me va indietro di qualche minuto; allora prese l’orologio e lo gettò a mare. E di bravate simili ne faceva davvero tante, e anche per queste era diventato una piccola leggenda metropolitana. Per farti capire meglio com’era Pelos, ti dico che è lui il Ninì di ”Ferito a morte”. Nel libro inventai che lui aveva dipinto di giallo la Grotta Azzurra, ma questa era una mia invenzione per descrivere il suo carattere. Dopo qualche anno Pelos mi disse: ti ricordi di quando ho dipinto di giallo la Grotta Azzurra? E quando io gli dicevo guarda questo l’ho inventato io, non è mai successo veramente, lui mi ripeteva che invece si ricordava benissimo di averlo fatto lui». Anche da questa digressione, intuisco che il rapporto tra Eduardo e Luca e la conquista m’immagino molto difficile della sua indipendenza, potrebbe essere un intero capitolo di un libro. «A Luca è toccato un destino complicato, l’uomo che lo ha più amato, Eduardo, è quello che ha reso più difficile la sua vita di uomo e di attore. Potrei dire che la sua è stata una lotta per la libertà di essere se stesso, è stata una lotta che l’ha impegnato totalmente, e che lui ha vinto. L’uomo Luca, l’attore Luca De Filippo, sarà ricordato per la sua capacità di elaborare uno stile di recitazione suo proprio, e direi anche uno stile di vita che è solo suo. E lo ha fatto con una discrezione, una delicatezza e una grazia che gli vanno riconosciute. Perché Luca era un uomo schivo, saggio, e non si vantava mai troppo. Quando si dice che il compito di un artista è quello di rinnovare la tradizione con l’aggiunta del talento individuale, posso affermare che in modo tutto proprio questo Luca lo ha fatto. Un’impresa non facile quando la tradizione è rappresentata dalla stessa famiglia cui si appartiene. Liberarsene per rinnovarla ”non è impresa da poco” e Luca quest’impresa lui se l’è accollata e ha vittoriosamente portato a termine. Nel momento della sua morte, sia reso onore a questa sua costanza». Nel pomeriggio al teatro Argentina avrai il compito di ricordare l’amico, cosa dirai? «Lo ricorderò con le stesse parole che ti ho dette sinora».