L’università assolve «Gomorra»: «Il cancro esiste, giusto mostrarlo»

L’università assolve «Gomorra»: «Il cancro esiste, giusto mostrarlo»
di ​Ugo Cundari
Sabato 23 Maggio 2015, 08:58 - Ultimo agg. 21:36
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Tra qualche decennio gli storici che analizzeranno le rappresentazioni, narrative e cinematografiche, della nostra città, divideranno i napoletani in due opposte fazioni, i sostenitori di Gomorra e i suoi oppositori, «gomorristi» e «antigomorristi». I primi esaltano il libro di Saviano e le produzioni cinematografiche ad esso legate, dal film alla fiction, i secondi accusano «Gomorra» di «lesa napoletanità».



E se di recente il presidente della municipalità di Scampia e il sindaco di Afragola si sono rifiutati di far girare alcune scene della serie «Gomorra 2» nel loro territorio, ieri i gomorristi hanno fatto sentire la loro voce ospiti di Francesco De Cristofaro, docente di Letterature comparate alla Federico II. All’incontro hanno partecipato docenti in rappresentanza di tutte le università napoletane, lo sceneggiatore della serie Leonardo Fasoli e l’attore che interpreta il ruolo del capoclan don Pietro Savastano, Fortunato Cerlino. Se vogliamo cominciare dalla fine, la conclusione è che di «antigomorristi» non se ne sono visti, mentre tutti i docenti interpellati - il filosofo Gennaro Carillo, il docente di Letteratura italiana Pasquale Sabbatino e il critico cinematografico Valerio Caprara - ognuno ovviamente con le dovute sfumature, hanno difeso «Gomorra».



«Ammetto di essermi avvicinato alla serie di Gomorra con un pregiudizio negativo» ha esordito Carillo, «ma subito mi sono dovuto ricredere, così come si dovrebbero ricredere coloro che criticano questa fiction solo perché avrebbe infangato il nome della città». Il ragionamento di Carillo è semplice: la serie è di grande astrazione, pur essendo evidente il contesto napoletano. «In realtà la qualità drammaturgica della scrittura ha il merito di essere andata a fondo di temi come il lato oscuro del potere e lo sfaldamento della famiglia, tanto da risultare universale». Semmai è Napoli che, per la potenza di immagine che ormai possiede, diventa invasiva qualsiasi film o narrazione vi si ambienti. Caprara dapprima ha ricordato che alcune città americane come Chicago e Miami pure sono state per anni luoghi prescelti per girarvi film e telefilm di criminali, «ma nessuno dei suoi cittadini si è mai sognato di sentirsi offeso, neanche quando Miami è diventata nell’immaginario collettivo ”Miami vice”».



Poi ha raccontato una storia emblematica. Qualche anno fa una sua laureata, adesso trasferita in Germania, aveva progettato un documentario sul rione Salicelle partendo da un sacerdote che cercava di redimere le vite degli sbandati e di mettere in luce il lato buono del quartiere. «Nessuno la ha aiutata a trovare i pochi euro per girare il suo film, nessuno di quegli avvocati e di quei capipopolo che in questi giorni incitano alla rivolta contro ”Gomorra” si è fatto avanti per aiutarla. Allora non c’erano e adesso protestano». Una piccola critica, anche se costruttiva, è venuta da Sabbatino, per il quale «nel romanzo si intravede anche una luce di speranza, seppur fioca, mentre nella serie c’è solo l’Inferno, forse è questo l’unico piccolo neo di un racconto che rimane, in ogni modo, molto ben costruito».



Fasoli è stato polemico: «I politici di Afragola o di Scampia che vietano di fare riprese nel loro territorio si sbagliano, la risposta al degrado e alla criminalità non è distogliere lo sguardo ma, al contrario, denunciare e accendere i riflettori. Investire in una maggiore presenza della polizia, o aprire un nuovo commissariato, non possono essere le uniche risposte, anzi prima viene una battaglia culturale che una serie come la nostra può aiutare ad avviare» ha detto lo sceneggiatore.



E Cerlino, in collegamento via Skype, ha ammesso di essersi chiesto, fin dalla prima serie, il perché delle reazioni di condanna di certi spettatori e certi politici nei confronti di «Gomorra», e la risposta che si è dato è doppia: «O si sono offesi per vergogna o per orgoglio. Se si tratta di orgoglio non capisco perché poi, in altre occasioni ben più importanti, questo non esca fuori e non si traduca in proteste molto più comprensibili. Se invece è vergogna, la vedo più come un rifiuto, come un mancato processo di presa di coscienza».



E a sottolineare questi concetti più che «l’attore di Gomorra è un napoletano fiero di appartenere a una civiltà e una cultura millenaria».