​«Modello Borussia Dortmund contro violenza e razzismo»

​«Modello Borussia Dortmund contro violenza e razzismo»
di Francesco de Luca
Lunedì 1 Settembre 2014, 09:46 - Ultimo agg. 09:51
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«Per risolvere i problemi della violenza e del razzismo nel calcio c'è una strada da seguire: è quella del Borussia Dortmund». Mark Doidge, ricercatore presso l'università inglese di sport e management a Brighton, conosce bene il fenomeno ultrà, perché lo ha studiato seguendo anche una tifoseria estremista come quella del Livorno. Al complesso sistema calcistico italiano ha dedicato un libro, «Football Italia», e per l'Uefa ha sviluppato uno studio sulle iniziative antirazziste.



Cosa ha fatto il Borussia?

«A Dortmund i tifosi hanno lottato per essere ascoltati nel club: adesso un membro fa parte del direttivo e un ex capo ultrà è il collegamento ufficiale con la tifoseria. La squadra si è prestata per lanciare messaggi forti contro il razzismo e la violenza ed è stata un'iniziativa degli ultrà portare i tifosi ad Auschwitz per sottolineare anche visivamente cosa può accadere quando c'è un'ondata razzista, antisemita. C'è una lezione che emerge dal “fanproject” del Borussia: occorre confrontarsi e non scontrarsi sulle tematiche, invece in Italia si fa tutto in maniera conflittuale».



Perché si è interessato agli ultrà italiani?

«Negli anni '90 mi sono interessato al calcio italiano, quando la serie A era il campionato più bello al mondo. Poi mi sono appassionato alle tifoserie e ho seguito per sei mesi quella del Livorno, cercando di comprendere le identità locali e le contrapposizioni, perché il campanilismo italiano non c'è in Inghilterra».



Ma qui non c'è solo campanilismo: è scoppiata una faida e due mesi fa c'è stato l'ennesimo morto, Ciro Esposito.

«In Italia ci sono due grandi problemi. Il primo è la repressione del governo, perché volendo combattere la violenza si creano problemi ai tifosi perbene per l'accesso negli stadi: la Tessera del tifoso non ferma la violenza, ma rende difficile l'acquisto dei biglietti, peraltro per accedere in stadi insicuri. Il secondo problema sono alcuni gruppi ultrà. Ci sono state brutte scene, come quella di Genova, quando gli ultrà del Genoa obbligarono i calciatori a togliere le maglie, o di Roma, prima della finale Napoli-Fiorentina. Ma è importante parlare con i tifosi e capire: ad esempio, all'Olimpico si verificò una situazione di forte tensione perché era stato colpito Ciro Esposito fuori dallo stadio e c'erano tanti suoi amici in apprensione, convinti che fosse morto. In Italia i tifosi pensano che le istituzioni siano contro di loro».



Lei guarda la vicenda dal lato degli ultrà.

«Io dico che c'è una forte contrapposizione tra gli ultrà e le istituzioni. Bisogna smettere di demonizzare gli appassionati, soprattutto gli ultrà, e posso dirlo dopo aver seguito per sei mesi quelli del Livorno: ricordo ancora quando arrivammo in un autogrill e venimmo accolti da un muro di poliziotti in tenuta antisommossa, io mi sentii trattato come un criminale. Bisogna migliorare gli stadi e addestrare la polizia a trattare con rispetto quei tifosi che non rappresentano la minoranza violenta che tenta di controllare il calcio. Perché non inserire i tifosi nell'Osservatorio che decide sulle misure di sicurezza? Perché non consultarli sulle leggi repressive? La maggior parte dei tifosi non è criminale».



Due mesi fa è morto Ciro Esposito e questo lutto non ha insegnato niente: ci sono state minacce tra le tifoserie di Roma e Napoli; l'altra sera nei pressi dell'Olimpico c'era una vergognosa scritta in favore dell'omicida De Santis.

«Spero che le tifoserie di Roma e Napoli possano trattarsi con rispetto e onorare la memoria di Ciro. Sarebbe davvero triste se i tifosi della Roma non potessero andare a Napoli e viceversa, perché, come mi dissero i tifosi del Livorno quando ne venne vietata la presenza a Pisa, “il calcio senza tifosi non ha nessuna anima”. Nella vicenda dell'Olimpico mi colpì la vicenda di Genny: lo stesso personaggio venne individuato dallo Stato come interlocutore in una trattativa e poi nei suoi confronti venne emesso il Daspo».



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