Mastella assolto dopo nove anni: «Finita lunga sofferenza, ma non mi candido al Parlamento»

Mastella assolto dopo nove anni: «Finita lunga sofferenza, ma non mi candido al Parlamento»
di Paolo Mainiero
Mercoledì 13 Settembre 2017, 11:25 - Ultimo agg. 17:41
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Sindaco Mastella, dove ha aspettato la sentenza?
«A casa, con mia moglie e mio figlio Pellegrino. Per distendermi - risponde Clemente Mastella dalla sua villa di Ceppaloni - ho giocato a calcio balilla con i miei nipotini. Mattia mi vedeva un po' agitato. Mi ha detto: nonno, ma quando arriva questa buona notizia...».

Assolto, dopo nove anni. 
«È stata una grande sofferenza, per me e per la mia famiglia. Abbiamo retto perchè uniti. Mi ha salvato una forte fede interiore. Adesso lo posso dire, sono stato male, ho avuto anche un infarto. Per fortuna, ho incontrato sulla mia strada giudici coraggiosi».

Avrà qualche sassolino da togliersi dalla scarpa?
«L'assoluzione toglie quella patina ingenerosa che con cattiveria mi è stata buttata addosso. Hanno tentato di umiliarmi. Non dimentico le offese di Grillo al vaffa-day. Oggi, la risposta a quelle offese è che Mastella è una persona perbene». 

Ci sono voluti nove anni, un tempo enorme.
«La giustizia che arriva in ritardo è ingiusta comunque. Sono passati quasi dieci anni. Troppi. Solo mia moglie e i miei figli sanno quanto abbia sofferto. Non c'è stata notte in cui abbia dormito profondamente. Ho fatto i sogni peggiori. Essere additati, per anni, come un delinquente è stata un'angoscia».

L'inchiesta provocò la caduta del governo Prodi. Come ricorda quei giorni di dove anni fa?
«Prodi non cadde per colpa mia. In Senato eravamo in tre. Uno, Cusumano, votò anche a favore del governo».

A distanza di tanti anni, si dimetterebbe ancora?
«Ero ministro della Giustizia. Come potevo mai restare al mio posto?».

Fu lasciato solo?
«Non ebbi solidarietà, scomparvero tutti. Io e la mia famiglia fummo trattati come appestati. Ma lo voglio dire ad alta voce: rispetto alle tante storie di corruzione e tangenti che ci sono state in questi anni, dalle mie parti non è mai volato un euro». 

Sembrava finito, e invece è sindaco...
«Ho pagato, ma mi sono rimesso in gioco. Al primo turno, da solo, con la mia lista, arrivai al trenta per cento. Al ballottaggio vinsi con il sessanta. La gente ha creduto in me».

Più comodo fare il ministro che il sindaco?
«I sindaci sono in prima linea, sono i più esposti, spesso sono costretti a prendere decisioni in condizioni di emergenza. L'ha ammesso anche Cantone, un abuso d'ufficio può capitare a tutti. Spero che la politica intervenga. Il rischio è la paralisi delle amministrazioni locali».

Aveva detto che, se condannato e quindi sospeso, avrebbe fatto il sindaco di strada. 
«La sospensione è una distorsione della democrazia. E se durante la sospensione la mia maggioranza si fosse dissolta? La Severino è una legge infame, vigliacca, mi meraviglia che la Corte Costituzionale non l'abbia bocciata. Mi auguro che il Parlamento ritrovi un sussulto e rimuova quest'obbrobrio».

Tornerà in Parlamento?
«Sarebbe semplice ora candidarsi. Ma non voglio fare il parlamentare. Ho scelto di fare l'eremita nel mio eremo, a Benevento. Voglio dedicarmi alla mia gente. E voglio continuare a lottare per la giustizia».

In Italia la giustizia è un nervo scoperto.
«Ho sempre predicato l'umanesimo giudiziario e anche da ministro lavorai per evitare guerre tra magistratura e politica perchè in queste guerre chi paga è il cittadino».
 

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