Montesarchio. Il papà che ha ucciso il figlio disabile: «L'ho fatto per amore, sarebbe rimasto solo»

Montesarchio. Il papà che ha ucciso il figlio disabile: «L'ho fatto per amore, sarebbe rimasto solo»
di Claudio Coluzzi
Domenica 11 Settembre 2016, 14:37
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Montesarchio. È un uomo mite Luigi Piacquadio, 72 anni, segretario comunale in pensione. Ha il volto rigato dalle lacrime quando i carabinieri lo fanno salire in auto e lo conducono alla compagnia di Montesarchio per l'interrogatorio. Si lascia alle spalle, al quarto piano di uno stabile in via Lavinia, il corpo senza vita di Domenico, il figlio disabile di 38 anni. «L'ho ucciso io - confessa al maggiore Zerella del reparto operativo dell'Arma di Benevento e al sostituto procuratore Gabriella Di Lauro - non ce la facevo più a vederlo soffrire. Eppoi, io non ho molto da vivere, nessuno si sarebbe più occupato di lui. Volevo che non soffrisse più, che non finisse in un istituto. Volevo uccidermi, così andavamo via insieme. Mi hanno fermato prima che mi gettassi dal balcone».

È una tragedia che chiude un dramma lungo una vita. Domenico nacque con problemi di disabilità, figlio unico, i genitori lo hanno sempre accudito con affetto e sacrifici. Luigi, segretario in diversi centri del beneventano tra cui Ceppaloni, conosciuto e ben voluto, si dedicava al lavoro ma non poteva distogliere il pensiero da quel bambino che aveva bisogno di continue cure. Poi rimase vedovo e il peso divenne ancora più gravoso, sposò la sorella della moglie che già assisteva Domenico, divenuto nel frattempo ragazzo. Ieri mattina in casa c'era anche la seconda moglie, pure malata e con problemi di deambulazione, quando Luigi ha messo in atto un proposito che rimuginava da tempo. Ha dato dei tranquillanti al figlio, lo ha adagiato nel letto e poi, con un coltello da cucina, lo ha colpito più volte all'addome e al ventre. Le urla, il trambusto, hanno attirato i vicini.

Luigi ha provato a ferirsi mortalmente con la stessa lama, ma non ci è riuscito. Poi lo hanno bloccato mentre tentava di scavalcare il balcone per lanciarsi nel vuoto. Nel frattempo era giunti i carabinieri, i vigili del fuoco, i sanitari del 118. Le forze dell'ordine si sono trovate di fronte ad una scena straziante. Per il ragazzo non c'era più nulla da fare. Luigi si è accasciato su una sedia ed ha lasciato che lo conducessero in caserma. Sono iniziati i rilievi, le formalità per il trasferimento della salma all'Istituto di medicina legale dove sarà eseguita l'autopsia. Ma in realtà non c'è nulla da indagare. È tutto orribilmente chiaro. «Non riesco a crederci - dice Maria, vicina di casa - padre e figlio erano inseparabili. Sapevamo tutti che il ragazzo aveva problemi, negli ultimi tempi diventava anche aggressivo. Ma Luigi era sua ombra. A volte lo vedevamo nel quartiere che conduceva Domenico a fare delle passeggiate, lo teneva sotto il braccio. Lui anziano era il sostegno e la guida di quel ragazzone». Nel palazzo è un via vai di uomini in tuta bianca della scientifica dei carabinieri, giunge il magistrato, gli inquilini restano in casa con le porte sbarrate. Negli edifici vicini tanti osservano attraverso le finestre. Gli investigatori hanno appurato che in passato non c'erano mai stati episodi di violenza in famiglia, almeno non ne risultano denunciati. Ma è certo che il peso dell'assistenza di Domenico era ricaduta tutta sul padre, soprattutto da quando la malattia della seconda moglie si era aggravata.

Nella caserma dei carabinieri Luigi Piacquadio si è lasciato andare ad una confessione liberatoria.
Dopo avere ammesso le proprie responsabilità, descritto quei terribili momenti ha anche raccontato delle difficoltà quotidiane di assistre il figlio, delle reazioni a volte ingestibili, dell'impossibilità ormai della seconda moglie di dargli una mano. «Dopo la mia morte Domenico sarebbe finito un istituto, senza affetto, in agonia a soffrire per il resto della sua vita». Un pensiero atroce, insopportabile tanto forte da spingerlo a sedare il ragazzo e a colpirlo più volte fino a che non respirava più. Era convinto che sarebbe stata una breve separazione, che anche lui lo avrebbe raggiunto Altrove, di lì a poco. Omicidio volontario, premeditato, dal momento che Luigi aveva organizzato tutto. Un'accusa tremenda, un padre che uccide il figlio. Ma l'orrorre dell'epilogo, in questo caso, si aggiunge e si fonde con un dramma familiare in cui la disabilità diventa una condanna. Per chi la vive sulla propria pelle e per chi sta vicino al disabile. Al punto tale da da considerare un sollievo la morte, da dare a chi si ama e a se stessi.
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