Luciano Pignataro
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Quando i cuochi scelgono il suicidio

Benoit Violier
Benoit Violier
di Luciano Pignataro
Martedì 2 Febbraio 2016, 15:44
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Alla fine la Michelin davvero lo ha declassato da tre a due stelle. È accaduto ieri, tredici anni dopo la decisione di Bernard Loiseau di farla finita con un colpo di fucile perché non reggeva la tensione dell'attesa dopo alcune indiscrezioni pubblicate sui giornali che paventavano una retrocessione per lui inaccettabile.

Sette mesi dopo si uccise Pierre Jabert, chef e proprietario dell'Hotel de Bordeaux, ma questo episodio fece meno rumore perché non era stellato.In un bel pezzo pubblicato ieri sul sito di Identità Golose, Paolo Marchi ripercorre la Spoon River dei cuochi che si sono tolti la vita: da Francois Vattel, famoso nel 600, che la fece finita perché non arrivava il pesce a un banchetto (poi interpretato magnificamente in un film da Gerard Depardieu) agli italiani Franco Colombani della Locanda del Sole a Maleo, vicino Lodi e Sauro Baccardi a Ponte a Moriano vicino Lucca, entrambi stellati.

Dietro i lustrini delle premiazioni, i trionfi di Masterchef, lo spadellamento continuo in tv, il mestiere di cuoco è ormai sottoposto a tensioni sempre più difficili da sostenere. Dimenticatevi la figura con il viso un po' rubicondo e la pancetta sempre sorridente: oggi i cuochi di grido devono anzitutto mantenere la linea per essere presentabili agli show cooking (in Italia diventati cooking show) e, diciamo la verità, non hanno neanche troppo tempo per godersela perché continuamente sotto pressione.

Come se non bastasse il sistema delle guide che possono cambiare il destino di un locale, si sono aggiunti anche i social network che, come risulta da numerosi studi, creano dipendenza e contribuiscono ad accentuare lo stress delle persone normali. Figuriamoci dei cuochi che adesso sono entrati a far parte di uno star system fatto di soldi, pubblicità, ribalta televisiva, come i cantanti o i giocatori. Sono loro i nuovi gladiatori dell'era moderna con un pubblico pronto ad esaltarli e, subito dopo, condannarli all'oblio, che è esattamente la figurazione della morte fisica che si imponeva con il pollice verso nelle arene.

Proprio il rischio di essere dimenticati è la pena più spaventosa che possa capitare oggi a un cuoco. Non sbagliare un piatto o scontentare un cliente, ma l'essere improvvisamente messo a margine di un circo nel quale girano tanti soldi e che richiede un incredibile dispendio di energie per restare a galla.

Non reggono i grandi che ad un certo punto, come Mina all'apice del successo, preferiscono tagliare il cordone ombelicale che li lega al patibolo mediatico. Ferran Adrià ha chiuso il Bulli dopo anni di trionfi mondiali, in Italia Fulvio Pierangelini ha deciso di defilarsi appena in tempo evitando di essere investito dall'ondata dei social media, dei forum e dei blog.

Uno tsunami di like che adesso travolge altre categorie, prime fra tutti i pizzaioli e i paninari che non hanno spesso neanche una cultura forte per sostenere queste spaventose montagne russe psicologiche.

A ottobre, quando escono le guide, lo sciame sismico degli scontenti si scatena su Facebook, solitudini che si sfogano e cercano consenso, tutto tremendamente lontano dalla missione di un cuoco: fare buona cucina.

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