«Muccassanina
oltre gli stereotipi»

«Muccassanina oltre gli stereotipi»
Lunedì 17 Ottobre 2016, 19:33 - Ultimo agg. 10 Gennaio, 22:15
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Io ci sono andata. Per curiosità, per amicizia, per divertimento. In comitiva, e anche con una coppia sposata. Alla Muccassassina, la festa gay, lesbica e trans tra le più note in Italia, per la prima volta organizzata a Napoli. Alla Casa della musica, sabato 15 ottobre, 18 euro il biglietto d'ingresso: drag queen oltre gli stereotipi. Ma la serata danzante in città è stata accolta un po' sottotono dagli etero, a differenza di quanto accade ormai da tempo a Roma. Come mai? «L'appuntamento fa parte del processo di internazionalizzazione dell'industria dello spettacolo: è importante che i giovani possano incontrarsi in momenti ludici», premette Paolo Valerio, docente di psicologia clinica della Federico II, in prima linea nella battaglia per i diritti e contro le discriminazioni. Aggiunge: «Certo, sarebbe bello che tutto ciò avvenisse, non in base all'orientamento sessuale, ma per il piacere di stare insieme. E questo è uno degli obiettivi su cui confrontarsi». Perché «servono interventi ad ampio spettro, in tutti i contesti, dalla scuola dell'infanzia all'università. Occorre promuovere la cultura delle differenze», afferma. 

E allora, far vedere le immagini di uno show così trasgressivo può aiutare a superare il pregiudizio? «Lo stesso interrogativo viene posto con il gay pride: ha senso che si vedano solo le famiglie arcobaleno o anche avere persone in costume? In realtà, il pregiudizio nasce dallo stereotipo» dice Valerio. «Lo spettacolo altro non è che momento di allegria in cui potersi esprimere e non sentirsi stigmatizzati. L'importante è guardare alla festa. Senza stare troppo a giudicare». 

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Valerio, che è anche direttore del centro SinAPSi dell'Ateneo, struttura creata per promuovere l'inclusione attiva e partecipata degli studenti, fa un esempio diverso per spiegare: i compagni di classe di una bimba con la pelle scura non giocavano con lei, fino a quando la maestra non recitò una poesia sull'autunno, paragonandone i colori con quelli della piccola accarezzandone il corpo, ma poi gli stessi bambini andarono a giocare alle veline, facedo sfilare le bambine nel cortile. «L'insegnante, così sensibile sulla questione di etnia, non colse che anche in quel caso sarebbe servito un intervento pedagogico per far comprendere loro che la donna non va ammirata solo per la sua bellezza». Insomma, è una questione culturale.

Il professore aggiunge: «La Federico II prevede che gli studenti transgender abbiano un alias per la carriera universitaria, ossia che possano chiedere di essere chiamati con un nome compatibile con il genere a cui si sentono di appartenere. Dire trans non deve portare a pensare esclusivamente alla prostituzione, spesso scelta obbligata, ma sono tanti i ragazzi e le ragazze gender nell'ateneo. E questa possibilità di avere una identità alias oggi è estesa al personale amministrativo e docente per promuovere il rispetto della persona. Il rispetto della dignità dell'altro».

Favorire l'inclusione, abbattere pregiudizi e stereotipi, è un processo decisivo. «Perché riesca è utile parlarne e promuovere una cultura che vede nelle differenze una risorsa. L'Ordine dei medici ha organizzato un corso di formazione sulle discriminazioni. Ma non è ancora abbastanza quanto si promuove anche a scuola, nelle università, tra i giornalisti». Per colmare un vuoto, che esiste tra gli operatori della comunicazione, mercoledì 19 ottobre è in programma un corso formazione su linguaggio, sport e omofobia. Un esempio? «Si usa dare del gay a una persona che non lo è, per scherzo. Una battuta che potrebbe far soffrire chi lo è, perché si sentirebbe additato. Invece, bisognerebbe portare i bimbi già da piccoli a guardare l'altro non come fenomeno di baraccone», ribadisce.

Una prima parola da cancellare è accettazione: «Occorre rispettare l'altro, riconoscendogli la capacità di autodeterminarsi, senza che si debba sentire fuori posto. C'è pure un servizio anti-discriminazione online, al link www.bullismoomofobico.it, per chi vuole interrogarsi». A contattarlo, tra gli altri, la madre, in lacrime, di un 23enne, un militare, alto un metro e 80, con la barba dopo il coming out in famiglia: «Dottò, ma prima andava con le donne, ora va con gli uomini: è maschio o è femmina...» Sospira Valerio: «La signora confondeva l'orientamento sessuale con l'identità di genere, due costrutti diversi. Ma io non avrei potuto curare comunque il suo ragazzo e le spiegai che se qualcuno le avesse proposto di farlo, avrebbe dovuto denunciarlo, poiché gli interventi riparativi, che vogliono curare l'omosessualità, sono dannosi e le linee guida dell'Ordine degli psicologi chiare a tal proposito. Alla fine, mi rispose aveva capito che non avrei potuto fare niente e quindi nemmeno lei». Dopo il pianto, concludendo con un sorriso: «Sì, è una questione di sentimento».
 

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