La cura di Proust
all'amore tradito

La cura di Proust all'amore tradito
Domenica 23 Ottobre 2016, 10:48 - Ultimo agg. 10 Gennaio, 22:14
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Alla ricerca del tempo perduto. Rileggo la prima parte del capolavoro di Marcel Proust e ritrovo, nelle sue parole, una cura letteraria alle pene del cuore. Un metodo, stando al testo efficace già un secolo fa, che non può bastare a fermare la violenza sulle donne (comportamento inaccettabile, non patologia) al termine di una settimana orribile, a Napoli segnata dalla morte di Stefania Formicola, 28enne e mamma, uccisa dal marito dopo aver lasciato una agghiacciante lettera-testamento. Ma quanto è maggiore la vita.

«Chi soffre per amore è, come si dice in certi malati, il medico di se stesso. Siccome può ricevere consolazione solamente dalla persona che è accusata del suo dolore, e di cui quel dolore è un'emanazione, proprio in esso finisce col trovare un rimedio. Un rimedio che a un certo momento il dolore stesso gli scopre. Perché, man mano che egli lo rimugina dentro di sé, il dolore mostra un aspetto della persona rimpianta, a volte così odioso che non si ha più neppure il desiderio di riverderla, perché prima di poter provare di star con lei bisognerebbe farla soffrire, a volte così dolce che di questa dolcezza che le attribuiamo le si fa un merito e si ritrae un motivo di speranza.

«Perché, prima di tutto, in coloro che amano e sono abbandonati, il sentimento d'attesa - sia pure d'attesa inconfessata - in cui vivono si trasforma da sé, e, benché in apparenza identico, ad un primo stato fa succedere un secondo esattamente contrario. Il primo era la conseguenza, il riflesso degli incidenti dolorosi che ci avevano sconvolti. L'attesa di ciò che potrebbe accadere è mista di spavento, tanto che più desideriamo in quel momento, se nulla di nuovo ci viene da parte di colei che amiaom, agire noi stessi, e non sappiamo bene quale sarà il risultato d'un passo dopo il quale forse non sarà più possibile tentare altri. Ma presto, senza che ce ne rendiamo conto, la nostra attesa, che continua, è determinata, l'abbiamo veduto, non più dal ricordo del passato che si è subito, ma dalla speranza di un avvenire immaginario. Da allora in poi, essa è quasi piacevole.

«Inoltre, nel corso della sua prima fase, ci siamo abituati a vivere nell'aspettativa. La sofferenza che abbiam provata durante i nostri ultimi convegni sopravvive tuttora dentro di noi, ma già assopita. Non abbiamo troppa premura di rinnovarla, tanto più che non vediamo bene che cosa ormai chiedermmo. Il possesso un poco più ampio della donna amata non farebbe che renderci più necessario quel che non possediamo, e che resterebbe, nonostante tutto, nascendo i nostri bisogni dalle nostre soddisfazioni, qualcosa di irriducibile».
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