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Veleni in corsia e carenze senza fine
la battaglia perduta di Irene e gli altri

Veleni in corsia e carenze senza fine la battaglia perduta di Irene e gli altri
di Maria Pirro
Martedì 16 Maggio 2017, 14:29 - Ultimo agg. 15 Giugno, 12:23
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Sono morti tutti, tranne uno. Tanti, troppi bambini. Sette in tre anni, nell'attesa o sottoposti al trapianto di cuore, seguiti dall'ospedale Monaldi di Napoli. Poi il centro ha sospeso questi interventi. Ma come si è arrivati all'impasse, con i pesanti disagi che vivono oggi i bimbi malati e bisognosi di cure, lo rivelano denunce inascoltate, dichiarazioni degli stessi medici sul clima di sospetti in corsia, audizioni in commissione trasparenza alla Regione e racconti drammatici dei genitori dei piccoli ammalati che da tempo (da tanto tempo) chiedono una svolta nell'assistenza oggi negata nell'unico centro specializzato del sud Italia. Una battaglia, nel nome di Iene e gli altri, finora perduta: «Il governatore tace, de Luca ignora le vittime di questo disastro», dice Dafne Palmieri, portavoce del comitato di genitori.

La parabola triste
Il 2013 è l'anno dei record di trapianti pediatrici all'ospedale di Napoli. Ne vengono eseguiti quattro, il numero più alto dopo il Bambin Gesù di Roma. L'équipe cardiochirurgia pediatrica può contare su sette professionisti previsti in organico. Con una sopravvivenza al 93 per cento certificata in corsia (un dato positivo, anche se sovrastimato, secondo Nanni Costa, responsabile del Centro nazionale trapianti che ieri ha segnalato la «mortalità eccessiva» come motivo dello stop alle attività). Tra i pazienti operati, c'è Chiara, protagonista di un appello sul «Mattino» in favore della donazione degli organi raccolto dal campione Fabio Cannavaro. «Operata il 23 luglio 2013, mia figlia oggi frequenta il terzo anno del liceo scientifico e sta bene grazie a una squadra straordinaria», dice con emozione l'avvocato Giuseppe Campagnuolo, che aggiunge: «Eppure, adesso uno dei principali motivi di difficoltà al Monaldi è la carenza di personale in organico. Lavorano infatti nel reparto solo due medici, tra cui il primario. Altri due, allora in forze lì, prestano servizio in altre strutture dello stesso ospedale: perché trasferirli, considerata la loro qualità professionale e la situazione già grave?»

Le denunce in camice
Anche il primario, che opera Chiara nel 2013, lascia il reparto un anno e mezzo dopo, ma prima del previsto. Lo fa segnalando difficoltà rivelatesi incolmabili: «Che dipendono innanzitutto dalla miopia della politica, di ieri e adesso», accusa Giuseppe Caianiello. La mancanza di medici specializzati resta uno dei motivi di maggiore criticità, sia in sala operatoria sia nell'assistenza pre e post trapianto.

L'odissea di Irene
In realtà, la denuncia non è l'unica agli atti. Sentito in commissione trasparenza alla Regione, il 3 aprile, Costa afferma di aver «ripetutamente segnalato» le carenze di posti letto e personale, di averlo fatto «in diverse occasioni, all'autorità sanitaria regionale e alla direzione del Monaldi». In particolare, ricorda: «Nel 2014, ritenemmo opportuno proporre, e la Regione allora accettò, di non effettuare i trapianti sotto l'età di due anni e di fare alcuni protocolli specifici». Il suo racconto rimanda all'odissea di Irene, la bimba di due anni di Scampia trasferita per questo al Policlinico Bologna, ma poi sottoposta a un doppio intervento a Napoli (l'impianto del cuore artificiale e il trapianto), e morta il 30 ottobre 2015. La vicenda rimane al centro di un'inchiesta giudiziaria: due i professionisti indagati, tra cui il responsabile del reparto. «Ed è difficile», sostiene Costa in audizione, che il medico «riesca a lavorare con serenità all'interno dell'ospedale se non c'è un rapporto di fiducia con gli altri medici». Tra i sospetti, è che uno abbia anche «collaborato» alla sua denuncia.

La «spaccatura» dell'inchiesta
Per Costa, questo caso «ha creato una vera e propria spaccatura tra i due gruppi». Il direttore del Centro nazionale trapianti aggiunge: «Abbiamo cercato di ricomporre questa situazione» per evitare «la chiusura del centro». Come? «Cercando di lavorare» e di fare lavorare insieme i due centri, la cardiochirurgia e il centro trapianti: infatti, nell'ultimo intervento «che è stato effettuato c'è stata, sia pure parziale, una collaborazione», ma «l'esito non è stato positivo». Così si arriva alla dolorosa vicenda di Martina, morta il 29 agosto 2016 senza mai lasciare l'ospedale divenuto casa sua. Naturalmente, il trapianto è di per sé un intervento ad alto rischio. E, per il direttore del Centro nazionale, ci sono anche altre ragioni che spiegano la crisi.

Le altre cause del trend
Un ulteriore motivo di mortalità superiore al passato è nazionale,: dipende dalla qualità degli organi, che si riescono a reperire per il trapianto di cuore e «scesa notevolmente», in conseguenza del numero per fortuna minore di incidenti stradali, tant'è che vengono adottate anche altre strategie di cure, come il tentativo di cercare di usare cuori da pazienti che hanno avuto l'arresto cardiaco. L'età, invece, sempre più bassa dei bimbi operati, spesso già sottoposti a una assistenza ventricolare, rende più delicato il trapianto. Al Monaldi è «cambiata la casistica negli ultimi anni»: quando «sono stati operati dei bambini piccoli, gli interventi sono andati male, mentre il dato era «migliore quando l'età media era più grande», riconosce Costa. Questo perché, spiega, «l'ospedale non ha un'attività sulla malformazioni che sono uno dei grandi capitoli dell'insufficienza cardiaca nei bambini».

L'unico sopravvissuto
Dafne Palmieri è la mamma di Massimo, operato il 24 giugno 2014, l'unico sopravvissuto tra gli otto bambini arrivati al Monaldi negli ultimi tre anni, da quando cioè si è registrata «una mortalità eccessiva». Segna così il «prima» e il «dopo» nei destini incrociati in corsia. Lei sostiene: «Si è arrivati a tanto proprio per la gestione, a nostro giudizio miope, anche da parte responsabile nazionale trapianti, che non è intervenuto in tempo debito neanche come reggente del dipartimento interaziendale campano. I numeri, a lui tanto cari, già raccontavano qualcosa. Un totale di oltre 25 trapianti, poi, negli ultimi tre anni un azzeramento della lista d'attesa (a fronte dei quasi dieci negli anni precedenti) e tutti decessi a fronte del 93 per cento degli esiti positivi della gestione fino al 2014». La madre, portavoce del comitato di genitori, con Carlo Spirito, di Federconsumatori, aggiunge: «Non cerchiamo la ripresa delle attività a qualsiasi costo; a questo punto chiediamo che venga istituito il tavolo tecnico che ci era stato promesso. È evidente la necessità di condividere i criteri di questa fantomatica riorganizzazione che viene dichiarata da mesi, alla cui base ci sarebbe una integrazione delle competenze e la salda collaborazione delle unità operative coinvolte».

Sedicenne operata a Bergamo
L'ultima testimonianza, che dimostra l'urgenza di intervenire, è quella di Umberto Vesce, il padre di Martina, la sedicenne napoletana nata con il cuore a destra e affetta dalla tetralogia di Fallot. Dopo aver subito sette interventi a Napoli, la ragazzina l'altro sabato ha avuto il trapianto salvavita a Bergamo, proprio perché il centro pediatrico del Monaldi non opera più, nonostante l'avesse inserita in lista. «Ciò significa costi enormi, economici e psicologici. Mia figlia e mia moglie devono restare al Nord per tre mesi», ribadisce Vesce. E, dopo le dimissioni dall'ospedale, ci sono i controlli a scadenza settimanale ed è alto il rischio di infezioni e ricadute. «No», scuote la testa il papà. «Così non si può andare avanti».

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