Caserta, la bambina contesa: mamma col pentito e la figlia perde il papà

Caserta, la bambina contesa: mamma col pentito e la figlia perde il papà
di Titti Marrone
Martedì 22 Dicembre 2015, 08:21 - Ultimo agg. 11:26
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Nella maggior parte dei casi di affidi contestati, solo la sentenza di re Salomone - fare a metà la creatura contesa - potrebbe risolvere le dispute tra genitori. Ma anche se una soluzione così paradossale può trovar posto in una parabola biblica, non certo nella realtà, di lì si può estrarre un'idea generale, da usare come filtro attraverso cui sarebbe bene osservare ogni conflitto per l'affidamento di un figlio: quella che a prevalere su tutto debba essere sempre il bene del minore. Andrebbe tenuta presente anche nell'accostarsi alla disputa molto peculiare in corso tra un padre e una madre della provincia di Caserta. 
Qui il minore è una bambina di otto anni, i genitori si sono separati consensualmente e lei è stata affidata alla mamma, mentre al papà è stato concesso di condividere con la figlia due giorni per settimana. 

Il papà racconta che in uno di quei giorni riservati a lui si è presentato all'appuntamento con la piccola, ma lei non c'era. Né c'era la sua ex moglie: la donna aveva cominciato una relazione e una convivenza con un uomo sottoposto a programma di protezione e dunque d'un tratto, appena scattato il dispositivo, si era volatilizzata con lui e con la stessa bambina in una località sconosciuta e protetta.

Alla fine, l'uomo è arrivato alla conclusione che il «nuovo padre» di sua figlia sarebbe un pentito di camorra che la sua ex moglie, stando a ciò che riferisce il suo avvocato, evoca minacciando di farlo intervenire alla sua maniera per impedirgli di rivendicare il proprio diritto sulla bambina. A completare il quadro della disperazione rappresentata dal padre nel proprio racconto ci sono gli incontri predisposti tra lui e la figlia: l'ultimo è avvenuto in una stazione di polizia, e si può immaginare quanto devastante possa essere, per una bambina, riunirsi con il proprio padre in condizioni simili. 

Un caso molto simile a questo avvenne quattro anni fa a Bari, dove un padre per lungo tempo non vide più le sue due figlie di 10 e 14 anni, andate via con la madre che aveva raggiunto il pentito di mafia Vito Valerio in una località protetta. In quel caso, che come quello del Casertano chiamava in causa sia la giustizia civile sia quella penale, il procuratore sottolineò «la sussistenza di grave rischio» per la incolumità personale di quanti erano stati oggetto del programma di protezione. Cioè, una volta arrivate sotto lo stesso tetto del mafioso, le ragazzine baresi sono state considerate esposte a eventuali ritorsioni o destinate a lui o indirette, cioè rivolte a persone a lui vicine. Il padre in quel caso poté rivedere le figlie, ma in condizioni sorvegliate perché si ritenne che il pericolo per le ragazzine ormai fosse scattato. Del resto, i programmi di protezione per collaboratori di giustizia vengono messi a punto da commissioni specifiche che valutano il livello di pericolosità per ciascun convivente oltre che, per così dire, il calibro stesso del pentito. 
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