Caserta, ucciso per gioco, suicida il fratello:
«Forse ha agito per rimorso»

Caserta, ucciso per gioco, suicida il fratello: «Forse ha agito per rimorso»
di Francesco Romanetti
Martedì 25 Ottobre 2016, 08:46 - Ultimo agg. 18:38
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Inviato a Caserta

A novembre fanno cinquant'anni. Ora stanno preparando anche una festa. Era il 1966 quando nelle case del rione Vanvitelli, a ridosso della periferia nord di Caserta, ci andarono ad abitare le prime famiglie. Operai, impiegati, lavoratori. 1966-2016: mezzo secolo. «Vede, adesso siamo quasi tutti pensionati - dice Aldo, un cortese signore dai folti baffi bianchi - Chi ci vive tra queste mura adesso? Anziani, studenti. Sì, anche qualche professionista. Ma soprattutto disoccupati, tanti disoccupati: sono i figli di quelli che vennero qui nel 66, e poi nei primi anni 70, che adesso si trovano in una condizione peggiore dei padri».

L'evoluzione demografica e sociale di questo micromondo formato da palazzine ordinate con quasi cinquecento appartamenti, da case che conservano ancora un certo decoro popolare, racconta una trasformazione che negli anni ha toccato un bel pezzo dell'Italia del lavoro. «Prima le cose andavano meglio, prima non c'era spaccio, prima la delinquenza non si sapeva neppure che cos'è da queste parti...». Tutto sommato - qui dove (presumibilmente) fu per un tragico gioco che l'8 luglio scorso Marco Mongillo, di 19 anni, venne ucciso da un proiettile in fronte e dove ieri è stato trovato impiccato suo fratello Vincenzo, di 21 anni - non ci sono ancora i segni dello squallore e del degrado di molte periferie urbane. Semmai, percorrendo i vialetti interni e le stradine del rione Vanvitelli, la parola che viene in mente è «decadimento».
 
 


«Lì una volta c'era il campo di calcio - indica un uomo che sta portando a spasso il cane - Ora ci sono solo erbacce. Ci giocava anche una squadretta: si chiamava Real Vanvitelli. Poi da una quindicina di anni è stato tolto tutto da mezzo. La società che gestiva la squadra è fallita e questo spazio è rimasto come lo vede ora: abbandonato». Nel prato che ha preso il posto del campetto però i ragazzi ci giocano ancora a pallone. E accanto, circondato dalle reti, c'è ancora il campo del calcetto. Da queste parti, in questi cortili, sono stati bambini e ragazzi anche Marco e Vincenzo Mongillo. La casa dove abitavano insieme fino a luglio e dove dall'8 luglio fino a ieri mattina ha continuato a vivere soltanto Vincenzo, con la mamma Maria Bocconi ed uno zio (il padre, Gaetano Mongillo, era separato dalla moglie), è al numero 13 di via Dossetti. Fino ad un paio d'anni fa l'anonimato che è tipico dei quartieri popolari era sottolineato dall'assenza di numeri civici: le palazzine venivano identificate come «isolati» e «scale». Ora hanno un nome e numeri civici. In via Dossetti si susseguono gli androni dei palazzi: il 19, il 17, il 15. Scale pulite, qualche pianta ornamentale. I locali al piano terra che danno sulla strada, hanno porte in legno, tutte color noce. Anche qui la sensazione è della sobrietà e dell'ordine. Solo al numero 13 manca il citofono. Qualche scritta sul muro è stata cancellata, qualche altra in vernice nera è rimasta: «Ricordo di Antonio», poi dei nomi: «Angela, Umberto, Rosa». Un cuore traffitto e un fiore disegnati. E l'immancabile «Acab», acronimo di «all cops are bastards».

Marco e Vincenzo erano due ragazzi che lavoravano.
Marco era pizzaiolo. Dopo la sua morte, il proprietario della pizzeria «La Loggetta» prese con sé il fratello. E così Vincenzo, lui che pure aveva frequentato ambienti dove il margine tra legalità e illegalità tende a sfumare (qualche spinello, piccolo spaccio) serviva ai tavoli in pizzeria. Su Facebook aveva messo anche qualche foto dove lui sorride, in divisa da cameriere. Nel circolo del comitato di quartiere si gioca a carte. Il circolo ha la sua sede dove una volta c'erano gli spogliatoi del Real Vanvitelli. Scopa e briscola tra anziani. A un tavolo però ci sono solo ragazzi. «So che Vincenzo è stato a chattare davanti al computer fino alle cinque del mattino: ho letto i suoi post - racconta un ragazzo - Vincenzo era una persona per bene. Ma era rimasto shoccato dalla morte del fratello. Nessuno di noi può sapere che cosa sia avvenuto quel giorno di luglio, ma può essere che Vincenzo s'è ammazzato per un senso di colpa, o di rimorso. Forse. Ma forse la verità non la saprà mai nessuno».

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