Citofoni in tutto il paese per proteggere il capo dei Casalesi, nuove accuse all'ex sindaco Zagaria

L'ex sindaco di Casapesenna, Fortunato Zagaria
L'ex sindaco di Casapesenna, Fortunato Zagaria
di Mary Liguori
- Ultimo agg. 13 Gennaio, 16:59
3 Minuti di Lettura
Consentì che l’intero paese venisse dotato di una rete clandestina di citofoni che permettesse al boss latitante, Michele Zagaria, di comunicare con i suoi luogotenenti, senza il pericolo di essere intercettato: è questa una delle nuove accuse che la Dda (pm Catello Maresca e Maurizio Giordano) muove all’ex sindaco di Casapesenna, Fortunato Zagaria, e che si configurano nel reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Quei fili furono sovrapposti all’impianto elettrico di mezzo paese durante lavori pubblici svolti alla luce del sole. Deposito di nuovi atti da parte della procura, un’informativa della Dia del maggio 2015: è il colpo di scena nel processo che si sta dibattendo a Santa Maria Capua Vetere per le presunte minacce a Giovanni Zara, ex sindaco di Casapesenna, che vede alla sbarra (dopo gli annullamenti «per mancanza di indizi» del Riesame e della Cassazione) l’altro ex primo cittadino, Fortunato Zagaria, appunto, e il boss casalese Michele Zagaria (difeso da Andrea Imperato, Paolo Di Furia e Angelo Raucci). I nuovi atti, per i quali gli avvocati di Fortunato Zagaria (Paolo Trofino e Giuseppe Stellato) hanno chiesto i termini a difesa e già sollevato il problema di incompatibilità territoriale del tribunale (quello competente è Napoli Nord), contengono, tra le altre, le dichiarazioni di Generoso Restina, ex vivandiere di Zagaria sotto la cui casa, in via Colombo a Casapesenna, fu trovato uno dei bunker in cui il capo dei capi dei Casalesi ha trascorso - verosimilmente - un periodo della sua lunga latitanza. La nuova accusa nei confronti di Fortunato Zagaria è giunta al termine di un’udienza fiume, durante la quale prima il pentito Massimiliano Caterino, poi l’ex capoclan oggi collaboratore di giustizia, Antonio Iovine, si sono in parte contraddetti. Il primo a venir collegato col palazzo di giustizia sammaritano è stato Caterino. Molti «non ricordo» hanno inframmezzato la sua deposizione, durante la quale ha dichiarato che «la lista di centrodestra per le elezioni veniva approvata da Michele Zagaria» facendo intendere, dunque, che anche lo stesso Zara, vittima nel processo in corso, fu tra quelli che per il quale il boss avrebbe dato il proprio nulla osta. Ma è stato sulla ricostruzione di un appalto ritenuto «pilotato» che Caterino è stato clamorosamente smentito. «Le opere al campo sportivo furono affidate a Pino Fontana su ordine di Zagaria». La difesa, atti alla mano, ha dimostrato che invece la gara fu vinta da una ditta del Beneventano e non all’imprenditore in odore di camorra. Dopo Caterino, testimoniare è toccato ad Antonio Iovine. Il suo racconto, ricco di particolari, ma mai concentrato sui fatti oggetto del processo, è servito alla procura per contestualizzare l’episodio in un momento storico molto particolare, durante il quale il gruppo Bidognetti controllava i comuni del Litorale, mentre Zagaria, Iovine e Schiavone decidevano - secondo la Dda - le sorti politiche, rispettivamente, a Casapesenna, San Cipriano d’Aversa e Casal di Principe. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA