Clan Belforte, nelle intercettazioni l'iniziazione di un diciassettenne

Clan Belforte, nelle intercettazioni l'iniziazione di un diciassettenne
di ​Mary Liguori
Martedì 18 Luglio 2017, 14:24 - Ultimo agg. 16:26
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Ci sono i legami economici «segreti» del clan e c’è l’«iniziazione» di un 17enne alla carriera criminale nel decreto di sequestro d’urgenza con il quale, ieri, la Dda ha messo i sigilli a tre appartamenti nella Casa Civica 1886 a Caserta. Un bene dal valore superiore ai 600mila euro che, secondo l’accusa, era sì intestato alla società «Egizya» di Biagio Francescone, ma che di fatto appartiene a Camillo Belforte, figlio del boss Domenico.

L’indagine coordinata dal sostituto procuratore Luigi Landolfi e delegata alla squadra mobile di Caserta, diretta dal vicequestore Filippo Portoghese, consta di una serie di intercettazioni registrate dopo che il minorenne, insieme a Maria Buttone, moglie del capoclan, e a una nuora, sono stati a colloquio in carcere dal boss. Le donne lamentano la difficoltà economica che la cosca attraversa e indicano nella denuncia subita da Carlo Sparaco, ex presidente della Casertana, l’inizio dei loro guai. «Ci ha denunciati per non darci i soldi», dicono tra loro. «Ci vado io a parlare», si propone il ragazzo che ha solo diciassette anni ma evidentemente le idee già chiare rispetto al suo futuro. «Il minorenne - scrive il pm - di ritorno da Sassari dove ha preso parte al colloquio con Domenico Belforte, è totalmente affascinato e desideroso di rendersi utile alla causa della famiglia». «Si deve picchiare, che si fa ? … si deve picchiare?» chiede il ragazzo alla Buttone e alla nuora, che rincarano: «Lo sai quanto ci deve dare?», riferendosi a Sparaco che loro considerano «un socio» più che una vittima. D’altronde dai dialoghi si evince che gli appartamenti sequestrati ieri «passarono» da Sparaco alla Egizya ma erano di fatto dei Belforte che, secondo la procura antimafia, si serve di prestanome per mettere al sicuro patrimonio e aziende dalla mannaia dei sequestri. 

L’escamotage non è bastato, almeno non in questo caso, perché il pm ha raccolto una serie di evidenze che hanno portato all’apposizione dei sigilli al fabbricato di via Mele a Centurano. Agli atti ci sono anche le dichiarazioni di Sparaco che, interrogato nel maggio scorso, riferisce di un’attività estorsiva subita da Camillo Belforte, in conseguenza della quale era stato costretto a cedergli un immobile, intestandolo fittiziamente alla società Egizya, di cui è amministratore Biagio Francescone. «Ero a conoscenza dei loro rapporti, - dice Sparaco - Camillo Belforte era detenuto e quando mi chiesero la cessione ritenni che era una sua disposizione, pertanto dissi che non c’erano problemi; Francescone disse che mi avrebbe fatto sapere a quale notaio presentarmi per il rogito. Formalmente, non ero più proprietario dell’immobile che sulla carta era stato venduto a un’altra persona. Tuttavia questi, non volendo comparire quale venditore al prestanome di Belforte, pretese la mia presenza per rivendere a me il bene che, contestualmente, a mia volta avrei girato a Francescone». Una girandola di nomi che la Mobile ha ricostruito nel dettaglio, raccogliendo in tal modo gli elementi utili per spiccare il sequestro. 
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