Corruzione, linea dura della Procura: la moglie di Cosentino va condannata

Cosentino con la moglie Marisa Esposito
Cosentino con la moglie Marisa Esposito
di Mena Grimaldi
Sabato 16 Gennaio 2016, 07:55 - Ultimo agg. 09:38
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Dopo essersi vista negare lo scorso dicembre il permesso di poter far visita al marito nel carcere di Terni, dove è detenuto, Marisa Esposito, moglie di Nicola Cosentino, ieri è uscita nuovamente dall’aula del Tribunale di Napoli Nord con un volto cupo: il pubblico ministero della Dda non le ha creduto. Due anni e otto mesi, questa la pena richiesta per la moglie dell’ex sottosegretario all’Economia dal pm Paola da Forno, nell’ambito del processo con rito abbreviato sulla corruzione nei confronti di una guardia penitenziaria del carcere di Secondigliano.

Cinque anni e quattro mesi, invece, per l’agente Umberto Vitale, mentre per il cognato dell’ex parlamentare, Giuseppe Esposito (fratello di Marisa), chiesti quattro anni e otto mesi. In aula sono state ripercorse le fasi cruciali dell’indagine condotta dai carabinieri di Caserta, avviate dai pm del pool anticamorra di Napoli Fabrizio Vanorio e Antonello Ardituro, oggi al Csm, che il 29 aprile del 2015 portò al quarto ordine di arresto per l’ex numero uno del Pdl in Campania, l’unico ad aver scelto il rito abbreviato. Un’inchiesta che nasce quando Cosentino, alla fine del 2013, viene scarcerato. Le sue utenze sono monitorate perché la Procura antimafia sta già indagando sulle attività della famiglia dell’ex sottosegretario attiva anche nel settore dei distributori di carburante e si registrano pressanti tentativi di contatto da parte di agenti di polizia penitenziaria nei confronti del politico. Intercettazioni telefoniche, ambientali, pedinamenti, portano gli inquirenti su un nuovo filone: gli agenti «favoriscono» l’ex deputato (quando era detenuto a Secondigliano) facendo entrare nella sua cella medicine, prodotti alimentari, capi di abbigliamento, ma anche consentendo «passeggiate» notturne nei corridoi del carcere non previste dal regolamento. In cambio, avrebbero ottenuto soldi e posti di lavoro. Il gip Isabella Iaselli, nell’ordinanza di custodia cautelare, aveva descritto il cognato del politico, Giuseppe Esposito, come colui che intratteneva i rapporti con l’agente Vitale: il tramite di Cosentino tra la cella e il mondo esterno.

Gli incontri, dove avvenivano gli scambi delle «buste», un distributore di benzina di Succivo, nell’agro aversano. L’accusa, nei confronti di Marisa Esposito, è legata sostanzialmente a una presunta «mazzetta» di cui parla al telefono con il fratello, difeso dall’avvocato Mario Griffo: «Gliel’hai data la mazzetta che ti ho dato?», si sente dire dalla donna in una telefonata fatta ascoltare anche in aula. La moglie dell’ex deputato si è difesa. Sostenuta dallo stesso collegio difensivo del marito, con gli avvocati Stefano Montone e Agostino De Caro, ha spiegato che si riferiva ai soldi che abitualmente regala ai figli del fratello. A tal proposito, i difensori hanno prodotto la copia di un messaggio risalente al giorno prima quando parlava dei soldi dati al nipoti definendoli «mazzetta». Ma il pm non le ha creduto.

«Non dubito che lei abitualmente definisca “mazzetta” un regalo economico per i nipoti, ma in quell’occasione si riferiva ad altro», è stata la risposta dell’accusa.

E ha negato di aver mai ricevuto denaro dai Cosentino anche l’agente Vitale, difeso da Romolo Vignola, durante l’interrogatorio del pm. Ha spiegato i rapporti con i Cosentino, «nato tramite il cognato perché avevamo casa al mare confinante» e sui favoritismi, invece, ha negato di aver introdotto in carcere documenti o cose diverse da generi alimentari. L’arringa della difesa è stata rinviata per il prossimo 22 gennaio. 

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