«Pen drive al nipote di Zagaria»
La Dda cala l’asso: nuovo pentito

«Pen drive al nipote di Zagaria» La Dda cala l’asso: nuovo pentito
di Mary Liguori
Sabato 23 Settembre 2017, 12:19 - Ultimo agg. 12:29
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Un calendario fitto di udienze non impoverisce il dibattimento del processo Medea che, anzi, aumenta - in termini di interrogatori - benché manchino, secondo la cronologia stabilita dal tribunale, circa tre mesi alla sentenza. È di ieri la notizia del deposito di nuovi verbali da parte della Dda di Napoli in relazione a recenti dichiarazioni rese da un nuovo collaboratore di giustizia: si tratta di Francesco Barbato, ex braccio destro di Nicola Schiavone che, proprio con il ras quasi avvocato e primogenito di Sandokan, è stato condannato, nel 2014 in primo grado e nel 2016 in Appello, al massimo della pena per un triplice omicidio avvenuto l’8 maggio del 2009 quando, dopo essere stati sequestrati, furono assassinati Giovanni Battista Papa, Modestino Minutolo e Francesco Buonanno.


La settimana prossima, il pubblico ministero Antimafia Maurizio Giordano depositerà i verbali del nuovo pentito, ma anche i documenti inerenti le dichiarazioni di Salvatore Orabona, affiliato ai Casalesi di Trentola Ducenta anch’egli pentitosi di recente. Orabona era uno degli obiettivi del raid da 107 colpi di kalashnikov diventato «famoso» per l’intercettazione agghiacciante registrata dalle cimici a bordo dell’auto del boss stragista. 
Durante l’intercettazione poi divulgata, quindici minuti di follia omicida, i killer furono registrati mentre cantavano a squarciagola brani di musica neomelodica e contemporaneamente crivellavano di proiettili prima un palazzo in via Alfieri, poi un edificio in via Caravaggio, a Trentola Ducenta.

Nei due agguati, messi a segno tra le 22.20 e le 22.35 del 12 dicembre del 2008, dovevano essere uccisi Pietro Falcone e Salvatore Orabona , ma rimase ferita una donna colpita per sbaglio dai colpi esplosi all’impazzata dall’auto dei killer, una LanciaY. Orabona si salvò perché quando i killer bussarono al citofono dicendo che dovevano consegnare dei dolci, attraverso le telecamere li riconobbe e si rese conto di cosa stava per succedere. 

Oggi la sua figura assume un ruolo chiave in una delle vicende che la procura Antimafia sta cercando di ricostruire: la compravendita della pen drive sparita dal covo di Michele Zagaria il giorno del suo arresto, «rubata» da un poliziotto, Oscar Vesevo, indagato, consegnata a Orlando Fontana, in carcere e sotto processo. Secondo la Dda la pennetta a forma di cuore fu fatta sparire prima delle perquisizioni successive l’arresto del capo dei Casalesi per tutelare gli interessi economici della cosca.

Della pen drive si venne a conoscenza grazie a un’intercettazione registrata in macchina dei fratelli imprenditori Pezzella. L’usb dei misteri non è mai stata ritrovata, ma il pentito Salvatore Orabona sostiene che contenga «nomi di politici» e afferma che «dopo il recupero fu consegnata a Filippo Capaldo, nipote e delfino di Zagaria». I pm della Dda hanno chiesto al gip e al tribunale del Riesame la misura cautelare per il poliziotto Oscar Vesevo, ritenuto artefice del recupero e ripagato - sempre secondo l’accusa - con 50mila euro da Orlando Fontana, ma per quattro volte l’arresto dell’agente di polizia non è stato concesso. 
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