Permessi ai boss: sperano
i Casalesi e Raffaele Cutolo

Permessi ai boss: sperano i Casalesi e Raffaele Cutolo
di Mary Liguori
Lunedì 7 Ottobre 2019, 08:43
4 Minuti di Lettura
Letteratura, cinema, televisione. Oltre gli schermi e le pagine dei best seller, c'erano le aule di giustizia dove, negli ultimi anni, i «superdetenuti» neanche hanno potuto metter piede, garantiti i loro diritti di imputati per mezzo della videoconferenza. Vivono, lontani dai riflettori di Gomorra e, prima ancora, della pellicola diventata un must, «Il camorrista», in celle di tre metri per quattro, possono parlare coi loro parenti solo per un'ora al mese e sotto il controllo delle telecamere, dormono addirittura con l'obiettivo (a raggi infrarossi) puntato addosso. Azzerare le loro possibilità di comunicare con l'esterno e con altri detenuti; questo l'obiettivo. L'antesignano fu Raffaele Cutolo che, tra isolamento aggravato e 41bis, è con tutta probabilità il boss più isolato al mondo. E poi c'è l'intera cupola dei Casalesi, fatta di gente irriducibile da decenni al carcere duro senza batter ciglio né strizzare l'occhio alla giustizia. Oggi li accomuna un pensiero, un'idea, una speranza.

Oggi la Grande Chambre della Corte di Strasburgo esaminerà l'ammissibilità del ricorso del governo italiano contro le concessioni e i permessi ai detenuti all'ergastolo ostativo dopo il caso di Marcello Viola, pluriomicida in cella dal 1990 cui la Cedu ha dato ragione. «Sperano» Francesco Bidognetti, Francesco Schiavone Sandokan e Michele Zagaria. Ché, se s'apre questa breccia, possono infilarci, nel ricorso, anni di istanze per regime detentivo «inumano», per citare Zagaria, fare causa allo Stato e sperare di passare magari gli ultimi Natali con i loro cari. I diciassette giudici della Grande Camera della Cedu oggi decideranno se l'ergastolo ostativo va rivisto. Ma se anche dovessero sentenziare in questi termini, l'ultima parola su permessi e affini, spetterebbe comunque ai tribunali di Sorveglianza, italiani, cui toccherà di volta in volta pronunciarsi sulle istanze dei capiclan.

 

La decisione attesa per oggi da Strasburgo matura dall'istanza di rinvio presentata dall'Italia contro la sentenza della Cedu dello scorso 13 giugno secondo la quale l'ergastolo ostativo è contrario all'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani «perché vìola il diritto del condannato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti». Nel nostro Paese, lo scudo contro l'indicazione di Strasburgo si è levato sia da ambienti giudiziari, con il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho che ha senza mezzi termini definito l'ergastolo ostativo l'arma in più che ha permeso di assestare duri colpi alle mafie «perché ha consentito di ottenere tante collaborazioni», sia da ambienti politici, con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e il guardasigilli Alfonso Bonafede che hanno parlato di «serio rischio di ritrovarci fuori dal carcere anche boss mafiosi e terroristi» e la possibilità di «una serie infinita di ricorsi da parte di questi detenuti». E infatti sarebbero già 250 i boss pronti a partire all'attacco e il numero è destinato ad aumentare qualora, quest'oggi, la Corte dovesse, di nuovo, dar torto all'Italia.
L'ergastolo ostativo non consente l'accesso a permessi premio e libertà condizionale ai condannati per mafia e terrorismo, ma ha prodotto significativi risultati in termini di lotta alla criminalità organizzata lo dicono i fatti. La percentuale di pentiti in casa Casalesi, per esempio, è altissima. Per un Bidognetti, uno Zagaria e uno Schiavone ostinati a trascinarsi fino alla fine dei loro giorni chiusi tra le mura del silenzio degli uomini d'onore, ci sono un Antonio Iovine pentito ormai da cinque anni e uno Schiavone, ovvero Nicola, primogenito dell'indomito Sandokan, che ha di recente passato il guado. E la possibilità di poter godere di finora impensabili benefici, non farà che rinforzare le pregresse decisioni dei capiclan di restare fermi sui propri passi.
Sperano i boss casalesi, e si preparano al ricorso all'Onu, e spera Raffaele Cutolo, l'ergastolano più isolato della storia cui, nel 2007, il ministero di Grazia e giustizia concesse d'avere un figlio in provetta. Trent'anni fa dovette battersi il suo avvocato, Paolo Trofino, perché potesse almeno ascoltare la musica in cella e ricevere i pasti negli orari in cui li avrebbe consumati. Precedentemente, al mattino gli consegnavano sia il pranzo che la cena; una misura antiavvelenamento. Si apre uno spiraglio, dunque, ora che è vecchio, stanco, fiaccato dalla prospettiva di non poter neanche più abbracciare la figlia che, dal 30 settembre scorso, compiuti dodici anni, deve restare al di là del vetro della sala colloqui che prima le era consentito varcare. E s'apre uno spiraglio per Michele Zagaria il cui avvocato, Paolo Di Furia, ha già in passato denunciato condizioni inumane del detenuto e che ora è pronto a scrivere il ricorso all'Onu perché Zagaria possa ottenere, quando avrà scontato venti anni di carcere, i benefici che al momento non può neanche sognare. Con loro cinque, pregano rivolti verso Strasburgo altri 952 detenuti del fine pena mai.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA