Tangenti e clan per il palazzo che ospitò Garibaldi: in 7 verso il giudizio immediato

Tangenti e clan per il palazzo che ospitò Garibaldi: in 7 verso il giudizio immediato
di ​Mary Liguori
Martedì 26 Luglio 2016, 13:10 - Ultimo agg. 16:42
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Camorra, appalti, politica. Al centro un palazzo che ospitò addirittura Giuseppe Garibaldi, struttura che ha perso per sempre la possibilità di accendere ai fondi Pon che l’avrebbero riportato ai fasti di un passato che no, non tornerà. Qui Santa Maria Capua Vetere. L’ex sindaco, Biagio Di Muro, rischia di andare a giudizio immediato.
Con lui, Alessandro Zagaria, incensurato, imprenditore, giovane di belle speranze «insospettabile» che la Dda colloca in quella schiera di colletti bianchi che i Casalesi usano ciclicamente per rifarsi una verginità.
Per loro, i sostituti procuratori antimafia Alessandro D’Alessio e Maurizio Giordano chiedono il rito immediato: in tutto istanza per sette indagati. Basta quanto raccolto nel corso delle indagini. Indagini che, intanto, hanno alleggerito, e di molto, la posizione di Stefano Graziano, consigliere regionale Dem per il quale la Dda chiede lo stralcio: niente camorra, resta, se il gip accoglie l’istanza dei pm, solo l’accusa di corruzione elettorale. L’inchiesta è quella che ad aprile ha travolto l’amministrazione comunale di Santa Maria Capua Vetere, l’ennesima del Casertano a venir tranciata dalla Dda di Napoli. In carcere, oltre a Di Muro e Zagaria, finirono imprenditori, funzionari comunali e professionisti. Accuse, a vario titolo, di corruzione, turbativa d’asta e falso ideologico, con l’aggravante del metodo mafioso. Una vicenda che era nell’aria dal luglio del 2015, momento in cui il Municipio di Santa Maria fu perquisito e il padre di Di Muro, Nicola, che era stato a sua volta sindaco, fu condannato per tangenti e scattò la confisca dello storico palazzo Teti Maffuccini. L’inchiesta riguarda proprio il restauro della dimora d’epoca, rispetto al quale è emerso un presunto giro di mazzette. Chiede il giudizio immediato, la Dda, anche per Roberto Di Tommaso, coinvolto in qualità di responsabile dell’Utc. Gli indagati (difesi, tra gli altri, dagli avvocati Antonio Abet, Giuseppe Stellato, Enzo Spina e Raffaele Crisileo) sono accusati di aver intascato una tangente di 70mila euro dagli imprenditori che si aggiudicarono l’appalto per la ristrutturazione dello storico edificio.
Giudicato cautelare di conferma delle ordinanze giunto con la decisione del Riesame in assenza del quale, per altre posizioni, due in particolare, la procura dovrà invece procedere attraverso l’udienza preliminare.
Ma, al netto di questo, altre vicende giudiziarie agitano gli ex amministratori di Santa Maria Capua Vetere. Contro Di Muro ci sono, tra le altre cose, le accuse di Alberto Di Nardi, proprietario della Dhi, azienda che si occupa di ecologia al centro della tangentopoli di Maddaloni. Di Nardi accusa l’ex sindaco della città delle Torri, Rosa De Lucia, con la quale fu arrestato, ma anche Di Muro. «Mi chiese soldi per il Gladiator», dice. La Dhi approdò a Santa Maria proprio all’indomani dell’elezione di Di Muro jr. Le indagini, su fronti diversi da quello principale, vale a dire la presunta corruzione per la ristrutturazione di Palazzo Teti, non sono dunque ancora chiuse.
La procura ha ipotizzato uno scenario che valica i confini della città dell’Anfiteatro. Secondo la Dda di Napoli, un fiume di denaro pubblico sarebbe stato mosso «grazie alle macchinazioni di Zagaria e company». Sotto accusa sono finiti, infatti, anche il Consorzio di bonifica del Sannio Alifano, i lavori per il consolidamento del castello medievale e del campo di calcio di Riardo, gli interventi eseguiti in alcune scuole, tra le quali l’Istituto Medi di Cicciano, quelli al Parco delle Arti di Casoria, fino ai lavori per le Porte dei Parchi tra Francolise, Alife, Rocca d’Evandro e Calvi Risorta. Era, scrive il gip di Napoli, Alessandro Zagaria il «ponte tra i luogotententi del boss Michele Zagaria e certi amministratori pubblici». Nelle varie operazioni ebbe un ruolo chiave, sempre secondo la Dda, uno studio di consulenza fiscale che produceva fatture per operazioni inesistenti: «coprivano - sostengono i pm - le tangenti calcolate e assegnate con un metodo scientifico». 
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