Mara Zinzi, racconto choc dopo la drammatica rapina: da mesi vivo nel terrore

Mara Zinzi, racconto choc dopo la drammatica rapina: da mesi vivo nel terrore
di Mena Grimaldi
Sabato 20 Febbraio 2016, 08:55 - Ultimo agg. 15:56
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Ancora terrorizzata per la brutale violenza usata nei suoi confronti ma decisa nel voler ottenere giustizia. Così è apparsa ieri in tribunale Mara Zinzi, figlia dell’ex presidente della Provincia di Caserta, Domenico Zinzi, e sorella del consigliere regionale di Forza Italia, Gianpiero. Una giornata particolare quella che ieri ha dovuto affrontare la docente universitaria, la quale, assistita dall’avvocato Dezio Ferraro, ha dovuto ripercorrere davanti ai giudici della I sezione B del tribunale di Santa Maria Capua Vetere quei terribili momenti vissuti nella sua abitazione di via Giotto il 5 giugno scorso, quando fu vittima di una drammatica rapina.

Maddalena Zinzi, per tutti Mara, attraverso le domande del pm Quaranta, con non poca fatica ha ricostruito le fasi di quel giorno nel processo che vede imputato Andrej Boda, lo slovacco ritenuto uno dei componenti della banda di malviventi che si introdussero nell’appartamento del Parco Gabriella. Boda fu fermato con l’accusa di rapina pluriaggravata e sequestro di persona dalla Squadra Mobile di Caserta il 7 ottobre a Napoli, mentre era in procinto di scappare all’estero con l’intenzione di far perdere le proprie tracce, esattamente come l’altro complice, il georgiano considerato l’ideatore e l’organizzatore dell’assalto e a tutt’oggi ricercato con un altro uomo. 
Non sentirsi più sicuri nemmeno a casa propria e questa sensazione la docente l’ha raccontata con tanta dignità e fermezza, nonostante le profonde ferite riportate. «Da quel 5 giugno – ha detto – non sono più la stessa, non solo per le lesioni che ho riportato fisicamente, ma soprattutto quelle ho dentro, moralmente». Quelle ferite dell’anima che in un certo senso privano la persona di vivere il quotidiano in assoluta serenità tanto che la Zinzi in aula afferma di essere ancora «terrorizzata». La donna, ascoltata come testimone oculare e parte offesa, ha anche voluto puntualizzare alla presidente del collegio, Roberta Carotenuto, di essersi costituita parte civile per una ragione ben precisa «non per un risarcimento – ha detto - ma per ottenere giustizia non solo per me, ma anche per tutte le altre persone che subiscono questo tipo di violenze».
Quella mattina, poco prima di mezzogiorno, tre uomini entrarono dalla finestra del bagno nell’appartamento della docente. Con lei c’erano anche sua figlia di 3 anni e la colf, Aika Turdukulova, di origine kirghisa, arrestata qualche giorno dopo con l’accusa di essere stata la basista del gruppo. In manette finì anche una sua connazionale e coinquilina, Narghiza Kuruchbekova, compagna del georgiano ricercato. Pur di indurla a rivelare la combinazione della cassaforte, i tre malviventi tennero in ostaggio la professoressa picchiandola e seviziandola con una piastra per capelli bollente. E Mara Zinzi in aula ha riconosciuto proprio Boda come uno dei suoi aggressori: «Si, è lui», ha detto, mentre le due colf, per le quali si sta celebrando il rito abbreviato, ascoltate per procedimento connesso hanno riferito di non conoscere lo slovacco e che non era presente quel giorno. 
Testimonianza ripresa subito dal pubblico ministero che, a differenza della tesi sostenuta dalle due, ha prodotto una documentazione in cui comparirebbero intercettazioni telefoniche intercorse tra di loro. A fine udienza, il difensore della figlia dell’ex presidente della Provincia, ha prodotto una lunga documentazione medica in merito alle ferite riportate dalla donna, frutto della brutale violenza inflitta nei suoi confronti. La docente infatti, fu trasportata quella stessa mattina in ospedale, restando ricoverata per moltissimi giorni a causa delle numerose ferite al volto, allo zigomo e al naso fratturato, e per le bruciature alle braccia, procurate con l’uso di una piastra elettrica. 
La prossima udienza è stata fissata il 9 marzo.
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