Addio a Ermanno Rea, scrittore
dei perdenti e coscienza critica

Addio a Ermanno Rea, scrittore dei perdenti e coscienza critica
di Generoso Picone
Mercoledì 14 Settembre 2016, 11:06 - Ultimo agg. 11:07
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Quando nel 1993 Ermanno Rea decise di tornare a Napoli, prese in fitto un appartamento dalle parti di via Calabritto e andò a trovare Aldo Masullo all'Università. Aveva una domanda da porgli, un interrogativo che premeva come un'ossessione almeno da una trentina d'anni, dalla sera del Venerdì Santo del 1961. Allora Francesca Spada si uccise. Perché per lei non ci fu salvezza possibile? I rintocchi di un orologio poco lontano gli ricordarono che il tempo divora ogni cosa. Ma che cosa divora esattamente il tempo? domandò al filosofo. «Il tempo è vivere l'incessante franare dal suolo su cui siamo appena passati, sì che ogni volta il presente nasce da una frattura», fu la risposta.

Ermanno Rea è morto la notte scorsa nella sua casa di Roma all'età di 89 anni. L'immagine fa da premessa a Mistero napoletano, lo straordinario libro uscito nel 1995, la prima parte della cosiddetta «trilogia dei ritorni e degli addii», Rosso Napoli sarà il titolo del volume che raccoglierà nel 2009 anche La dismissione (2002) e Napoli Ferrovia (2007). Ritorni, addii, sparizioni, inquietudini, scavi, sofferti riammagli della memoria, hanno sempre caratterizzato il lavoro narrativo di Ermanno Rea, hanno rappresentato una sorta di opzione di metodo letterario che è diventata sostanza densa della sua pagina; filosofia di vita che gli doveva venire dalla sua indole di giornalista (1960. Io reporter del 2112 ne è bella testimonianza anche fotografica). «Forse perché ho l'animo del disertore», diceva di sé Rea, ma occorrerebbe riprendere L'elogio della fuga di Henri Laborit per comprendere il valore ermeneutico che l'esodo può avere per l'esistenza. «Sento di appartenere a quel mondo di scomparsi». Del resto, prima di Mistero napoletano, Ermanno Rea aveva raccontato in L'ultima lezione (1990) l'economista Federico Caffé, perso nel buco nero del tempo, dissoltosi senza una ragione. O forse, con troppe ragioni. «Gente che ha rinunciato alla propria identità, che ha cancellato le sue tracce». I suoi anni napoletani ne erano pieni, da Renato Caccioppoli a Gianni Scognamiglio fino a Guido Piegari, di cui ha scritto in Il caso Piegari del 2014.

A Napoli, Ermanno Rea si era messo a cercare tracce. Nella città dov'era nato il 28 luglio 1927 e dove aveva scelto di tornare ancora una volta per il romanzo che avrebbe dovuto chiudere un ciclo, il suo ciclo. Non potrà invece vedere stampato Nostalgia, anche qui un titolo che fa destino. Aspettava il suo Nostalgia a cui teneva moltissimo, sarà pubblicato il 13 ottobre da Feltrinelli, e sarà un omaggio purtroppo postumo a Napoli e al Rione Sanità delle sue origini, via Cristallini. È la storia di un destino di amicizia e di morte, un melodramma ispirato da un'ansia di riscatto che fa di Napoli ancora un'icona di amore e di lotta senza sbocco. Come era successo per Francesca Spada in Mistero napoletano, per il tecnico specializzato Vincenzo Buonocore dell'ex Italsider di Bagnoli, la fabbrica dell'anticartolina stereotipata in La dismissione, per l'ex naziskin mishimiano Caracas in Napoli Ferrovia. Perdenti - «La verità è che siamo tutti dei perdenti. E poi detesto coloro che vincono», si giustificava Rea - che però nella loro sensibilità custodivano valori di fondo di cui il mondo, di cui Napoli, avrebbe fatto bene a tener conto: il culto ortesiano della bellezza di Francesca Spada che poi riermergerà fantasma ne La comunista del 2012, la cura e la responsabilità di Vincenzo Buonocore che sembrava un lascito de La chiave a stella di Primo Levi, l'integralismo romantico e solidale di Caracas innamorato della sua Rosa La Rosa.

Ermanno Rea con Mistero napoletano vinse il premio Viareggio nel 1996 e con Napoli Ferrovia fu finalista allo Strega del 2008. In mezzo, nel 1999, si aggiudicò il Campiello con Fuochi fiammanti a un'hora di notte, e per quel poco che possono valere i premi letterari conviene seguire questa scansione per non rubricare Rea esclusivamente come narratore di una materia esclusivamente napoletana. Lui, nella vicenda della sua città, aveva trovato l'occasione per mettere le maiuscole metafisiche agli avvenimenti dei giorni, la Grande Necessità Strategica di cui parlò nell'introduzione a Rosso napoletano, come La Grande Occasione di Raffaele La Capria in Ferito a morte - il testo padre di ogni filosofia di fughe e ritorni - l'Accadimento straordinario di Nicola Pugliese in Malacqua: per dare un'epica al luogo del tempo bloccato. In Fuochi fiammanti a un'hora della notte narra della ricerca da parte di Martino della madre scomparsa in modo misterioso: va nella Piccola Isola, posto abbandonato o soltanto di fantasia, dove incontra un'umanità che nella sua solitudine accarezza la possibilità di vivere felice. Tratteggia così con straordinaria maestria profili femminili, Francesca, Marcella, Rosa e poi Adele in Il sorriso di don Giovanni del 2014, e ciò resta una delle sue eccezionali doti di narratore e di uomo: risalta l'idea di un mondo finalmente liberato dalle contraddizioni della Storia e dalle incongruenze degli uomini, dall'angoscia del tempo e del dolore, dalla dannazione a cui lui aveva dato il nome di Napoli. Un mondo che finalmente avrebbe potuto nutrirsi di libri, di passione, di letteratura.