Addio Michel Tournier, maestro della letteratura francese

Michel Tournier
Michel Tournier
di Renato Minore
Mercoledì 20 Gennaio 2016, 17:12 - Ultimo agg. 19:21
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Diceva di “essere uno scrittore di quelli che celebrano il mondo ed esprimono amore per la vita e per la gente”. Diceva di appartenere a una specie diversa rispetto a Proust e a Céline che, schierati, dalla parte della derisione e del grottesco “mettono l’universo sottosopra”.   

Michel Tournier, uno dei grandi scrittori francesi del Novecento, morto a novantuno anni, presso Choisel, nell’Ile de France, era abilissimo nel recuperare vecchie trame narrative e leggendarie.  Come il plot di"Robinson Crusoe" di Daniel Defoe o gli spunti di mitologia nordica legati alla figura fantastica di un Orco e trasferiti nell'ambiente del Terzo Reich, nel "Re degli ontani". O l'episodio dei re Magi e la storia di Gilles de Rais in "Gilles e Jeanne".  Un recupero attraverso un’interpretazione ricca di elementi ironici, con finissimi riferimenti storici, letterari, biblici dove mito, magia, religione, realtà e fiaba si mescolano in un gran turbinio narrativo. Così nel suo primo romanzo, “Venerdì o il limbo del Pacifico” che lo rese famoso nel 1967, era già chiara e visibile la sua sorgente ispiratrice, che voleva vivificare e attualizzare, inserendole nella quotidianità, leggende e celebri mitografie. Robinson è spinto dal selvaggio Venerdì a regredire allo stato primitivo, lasciando naufragare i simboli della civiltà occidentale. Venerdì non subisce le leggi e le consuetudini di vita imposte da Robinson, ma finisce per essere lui a convertire il bianco occidentale, avviandolo a una metamorfosi di tipo iniziatico in una vita diversa, autentica, primitiva.  Perfino nell’aspetto fisico, Robinson tende ad assomigliare al “selvaggio” che egli avrebbe voluto dominare. E Venerdì aiuta il suo perplesso compagno a superare la gravité, a rilassarsi, a tingersi al sole.

Uno dei temi centrali della narrativa è quello dell'unità perduta come nelle “Meteore” che Tournier, già premiato con il Goncourt, pubblica nel 1976. E’ il racconto delle esperienze in una coppia di gemelli omozigoti che formano quasi un essere solo agli occhi dei loro vicini, durante l’infanzia e parte dell’adolescenza, chiusi nel “proprio “uovo”. Come Robinson al cospetto di Venerdì, pure Alexante, il gemello delle “Meteore” sa che la sua ricerca dell’altro, “un altro maschile” risponde in realtà al bisogno di un doppio.  Ma per riuscire a formare un “uovo” chiuso in se stesso, per raggiungere l’unione ideale, l’omosessualità, spiegava Tournier, è “una copia maldestra” della fusione gemellare.

Questi temi, immessi in un gioco di molteplici corrispondenze e suggestioni, via via ripresi e metaforeggianti in altri romanzi, brevi racconti e testi autobiografici contribuirono a diffondere la fama di uno scrittore certamente vivace, amante del paradosso e della provocazione, capace di far convivere delicatezze e impetuosità, fantasticherie e malumori.

Tournier era approdato alla letteratura attraverso la filosofia e le scienze umane e sociali e ciò lo rendeva particolarmente sensibile al mito e ai miti. La leggenda dei re Magi in "Gaspard, Melchior e Balthazar" è da lui  trasformata in un racconto alle 'Mille e una notte', imperniata sul desiderio del ritorno alle origini mediante un cammino iniziatico, quello del cibo, segnato dalla progressiva purificazione del corpo. Il mito delle origini è anche ne "La goccia d'oro", storia di un ragazzo berbero, che emigra in occidente, in Francia, alla ricerca di una foto che una turista- fotografa francese gli ha fatto.  “Non ho mai dimenticato – mi diceva Tournier in una conversazione a Capri, dove aveva ricevuto il premio Malaparte” - che venivo da un’altra parte. Nel mondo dei letterati restavo un uomo di parte. Il mito è una storia fondamentale. Come tutto ciò che vive, il mito deve essere alimentato e rinnovato, pena la morte. La funzione dello scrittore è di impedire che il mito diventi allegoria”.





 
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