Biblioteca dei tesori, ai Girolamini
la factory del libro antico

Biblioteca dei tesori, ai Girolamini la factory del libro antico
di Davide Cerbone
Sabato 13 Maggio 2017, 08:55 - Ultimo agg. 09:16
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Studiare i libri per salvarli. Censirli e digitalizzarli per conoscerli. E mostrarli, finalmente, in tutto il loro ordinato splendore. «Vogliamo creare un nuovo catalogo di quei manoscritti. Credo sia importante, oltre che necessario: l'ultimo risale alla fine dell'800», spiega Andrea Mazzucchi, professore di Filologia della Letteratura italiana alla Federico II. A lui l'università ha affidato la direzione della scuola di alta formazione in «Storia e filologia del manoscritto e del libro antico» intitolata ad Alberto Varvaro, un'autorità di levatura internazionale negli studi filologici.
Da novembre, e per due anni, dunque, i venti ragazzi che passeranno le prove orali (dieci con borsa di studio, o meglio «indennità di frequenza», e dieci da uditori), non solo studieranno nel Complesso oratoriano dei Girolamini gli antichi testi sopravvissuti al vergognoso sacco, ma compileranno anche un elenco preciso dei codici manoscritti e delle prime edizioni a stampa cinquecentine in possesso della biblioteca. Un lavoro che potrebbe preparare la strada ad una riapertura nel 2018.

Ma non sarà questo il solo annuncio che il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini verrà a dare con il rettore Gaetano Manfredi il prossimo 22 maggio, quando sarà presentata alla stampa l'intesa con l'ateneo federiciano. Quello sui Girolamini è soltanto il primo atto dell'accordo-quadro tra Mibact e Federico II, che prevede una collaborazione ben più ampia: il testo, infatti, parla di «attività di ricerca, di collaborazione tecnico-scientifica e di iniziative di carattere formativo» comuni. In pratica, ministero e università sigleranno un'intesa pluriennale per promuovere non solo il recupero, la digitalizzazione, la catalogazione e l'inventariazione ma anche l'accesso e la fruizione dei beni librari e documentali e di quelli di interesse artistico e archeologico. Insomma, avvalendosi dei gruppi che nell'ateneo svolgono attività di ricerca avanzata in diversi settori (codicologia, paleografia, filologia, linguistica, biblioteconomia, digitalizzazione, storia dell'arte, archeologia, museografia), la Federico II si impegna con il Mibact a collaborare per valorizzare tutti i siti e le istituzioni culturali - dai musei alle fondazioni - che, a Napoli e in Campania, dipendono dal Mibact. Un partenariato che, partendo dai Girolamini, getta le basi per una collaborazione sistemica.

«Per ora si parte con la scuola dei Girolamini, che è il coronamento di un'idea inseguita da tre anni: approntammo questo progetto quando ero assessore, con i professori Mazzucchi e De Vivo. Oggi, grazie alla sensibilità del rettore Manfredi, è diventato realtà. Ma in futuro l'esperienza si potrebbe allargare, per esempio, a Capodimonte o alla Biblioteca nazionale», spiega il professor Guido Trombetti, che con il direttore della scuola è nel comitato scientifico di entrambi gli accordi (in quello generale figura anche il soprintendente degli scavi di Pompei Massimo Osanna, ndr). E per significare la portata dell'operazione sulla Biblioteca di via Duomo azzarda un'analogia che, a guardar bene, è meno ardita di quanto appaia: «Bisogna pensare ai Girolamini come all'accademia di Apple: anche quello sarà un laboratorio».

Una «factory» che mette al centro l'antichità in luogo del futuribile, certo. Ma le differenze, assicura l'ex rettore, si fermano più o meno qui. Sarà per questo che al bando, scaduto il 7 marzo, hanno risposto in 157 a fronte dei venti posti disponibili. «È la prima scuola di questo genere nel Mezzogiorno d'Italia, e avrà una doppia funzione: da una parte quella di formare professionisti dello studio e del restauro dei libri antichi dal punto di vista del contenuto e del manufatto; dall'altra un'azione collaterale, che è quella di realizzare finalmente un catalogo dei libri conservati in quelle sale». Un lavoro fondamentale per la rinascita della Biblioteca spogliata di 1500 volumi che pure, tra le altre rarità, annovera ancora un codice di Seneca e un manoscritto dantesco. «La decisione sulla riapertura spetta alla magistratura. Ma di certo questo lavoro di catalogazione è fondamentale per favorire una fruizione più consapevole», afferma Mazzucchi. È chiaro, però, che catalogare i volumi significa prima di tutto metterli in sicurezza. «Una nuova descrizione e una digitalizzazione di quelle preziose testimonianze serve a preservare questo patrimonio da nuovi furti e a capire che cosa è rimasto dopo il saccheggio. Il patrimonio librario si preserva solo se lo si conosce», conferma il direttore. Tra l'altro, spulciando tra le pieghe della convenzione, le parti prevedono «il coinvolgimento di personale interno per un periodo limitato di tempo al fine di realizzare progetti congiunti». Coincidenze che fanno sperare in un ritorno alla normalità.