Nel segno di Benedetto Croce
una rete di respiro europeo

Nel segno di Benedetto Croce una rete di respiro europeo
di Corrado Ocone
Giovedì 22 Settembre 2016, 08:31 - Ultimo agg. 08:53
5 Minuti di Lettura

Ottima idea davvero quella di dedicare il convegno ufficiale di celebrazione dei centocinquanta anni dalla nascita di Benedetto Croce al tema della fortuna della sua opera al di fuori dei confini patri. L'incontro -il cui titolo è «La diffusione internazionale dell'opera di Benedetto Croce» - è organizzato dalla Fondazione Biblioteca Benedetto Croce in collaborazione con l'Istituto Italiano per gli Studi Storici, che lo ospita nella sua sede di Palazzo Filomarino.

Il simposio si inaugura questa mattina, alla presenza del capo dello Stato, e continuerà il giorno dopo. Ottima idea, si diceva, perché è innegabile che la vicenda culturale del filosofo napoletano sia stata considerata, negli ultimi decenni, come prettamente provinciale, legata alla storia e alle idee di un Paese sostanzialmente arretrato e al di fuori dei flussi intellettuali del mondo contemporaneo. Nulla di più falso, come con dovizia di documentazione e acribia filologica dimostreranno gli accreditati relatori del convegno, provenienti da diverse aree geografiche ed espressione di diverse culture nazionali. Le idee di Croce non solo sono penetrate, per vie dirette e spesso anche indirette, nei diversi contesti culturali; ma sono state anche elaborate dal filosofo napoletano in stretto contatto, anche personale, con i maggiori pensatori che hanno operato nel Novecento sulla scena mondiale.

Quando Croce pubblicò, nel 1900, le Tesi fondamentali di Estetica, che come è noto costituiscono il primo mattone con il quale ha poi costruito il suo edificio filosofico, aveva già ben chiaro il progetto culturale che doveva impegnarlo negli anni a venire. Era un progetto, certo, nazionale, ma niente affatto provinciale. Esso sostanzialmente tendeva a dare una propria e specifica cultura alla «nuova Italia», in modo da non far sfigurare il nostro Stato nazionale rispetto agli altri di più antica e solida costituzione. Nella prospettiva di Croce, che con questo scopo concepì la rivista «La Critica», che iniziò le pubblicazioni nel 1903, la nostra cultura doveva inserirsi a pieno titolo nel consesso europeo, dialogare alla pari con le altre culture nazionali, ma apportandovi il contributo specifico della propria tradizione, che risaliva almeno a Machiavelli e a Vico.

Non fu un caso che agli orizzonti della politica e della storia, Croce rivolse sempre la sua attenzione. Un programma non provinciale perché il provincialismo non consiste solo nell'isolarsi dal mondo ma anche nell'importare acriticamente tradizioni non autoctone, come per esempio si è fatto acriticamente negli ultimi anni. In quest'ottica, Croce si fece anche patrocinatore di una serie di traduzioni, soprattutto di classici, che nel nostro Paese mancavano del tutto: la «Biblioteca di cultura moderna», elaborata e diretta presso Laterza, svolse questa importante opera di divulgazione. Il tutto mentre egli stringeva una fitta serie di rapporti, soprattutto epistolari, con i maggiori pensatori europei in modo da costituire con loro quell'ideale «Repubblica delle lettere» che è sopravvissuta, nel mondo della cultura, fino almeno alla seconda guerra mondiale. In quest'ottica si spiegano gli scambi con Bergson, Mann, persino Einstein, e tanti altri. E in questo preciso senso si può dire che la fama di Croce travalicò subito i confini nazionali, come attestato dalla traduzione delle sue opere nelle principali lingue europee.

L'Estetica, come ricordava ultimamente il grande filosofo inglese Scruton, rinnovò e diffuse un nuovo modo di rivolgersi al fatto artistico e alla stessa idea classica di Bello. D'altronde per ogni area linguistica, Croce aveva i suoi riferimenti personali, che erano spesso uomini di cultura molto ben inseriti nel mondo intellettuale del proprio paese: da Collingwood in Inghilterra a Vossler in Germania, solo per fare qualche esempio. La sua filosofia, pur con le sue specificità nazionali, attentamente individuate e coltivate, si era così inserita nel processo europeo di superamento del positivismo in direzione di una maggiore attenzione alle forze concrete e non razionali della vita. Un secondo tempo, per così dire, della fortuna internazionale di Croce si ebbe poi man mano che il regime fascista si consolidava, negli anni Trenta, e il filosofo napoletano cominciava ad essere percepito un po' dappertutto come l'oppositore morale del regime. Nonché, da un altro punto di vista, come uno dei pochi intransigenti difensori di quella civiltà occidentale che sembrava allora in crisi se non addirittura in procinto di scomparire sotto l'azione prepotente delle forze non liberali.

L'accordo con autori come Hayek, che si rivolse a lui per far tradurre La via della servitù, o con scrittori come Orwell e Koestler, tutti prontamente recensiti sulla sua rivista, era nella logica dei fatti. Man mano che questa fortuna crociana si consolidava, persistendo anche nel secondo dopoguerra, la cultura italiana, ormai pronta a nuove (e anche non nuove) esperienze di pensiero, isolava colui che Togliatti, ritornato in Italia dall'esilio russo e pronto a esercitare una egemonia più o meno diretta sul nostro mondo intellettuale, cominciò a chiamare, con fare canzonatorio che a Croce non piaceva, «don Benedetto». Per mille fili che vanno dall'estetica alla teoria politica, dalla teoria della storia alla storiografia vera e propria, la presenza di Croce e del suo storicismo ha continuato ad operare all'estero fino ad oggi, come il convegno napoletano ci dimostrerà. E ancor più, forse, continuerà a farlo in un futuro prossimo per via dell'esaurirsi delle maggiori esperienze di pensiero che avevano animato il secondo dopoguerra e che con un pensiero attento alla vita come quello crociano avevano poco a che fare (dall'esistenzialismo all'heideggerismo, dallo strutturalismo al «pensiero critico» fino a tutto il vasto e vario arcipelago delle filosofie analitiche e neopositivistiche).