Addio Nicanor Parra, il ribelle dell'antipoesia è morto in Cile a 103 anni

Addio Nicanor Parra, il ribelle dell'antipoesia è morto in Cile a 103 anni
di Silvio Perrella
Mercoledì 24 Gennaio 2018, 10:13
4 Minuti di Lettura
Il mio poeta preferito, amava dire Roberto Bolano, è Nicanor Parra: «lui non parla di crepuscoli, né di dame stagliate sull'orizzonte, bensì di cibi e di bare, bare e bare...». Anche Allen Ginsberg, quando nel 1954 era uscito il Poemas e antipoemas, si era invaghito dei versi di Parra. E in seguito Patti Smith ha usato alcune sue poesie per farne delle canzoni (tra i suoi non molti libri, in italiano disponiamo di Antipoesia e di Le montagne russe).

Sono piccoli accenni del modo in cui i versi di questo poeta cileno - che ieri è andato nel mondo dell'altrove - avevano viaggiato per il mondo. Lunga la sua vita era nato nel 1914 a Sandoval e articolato e originale il suo stare al mondo come uomo espressivo. La sua era una famiglia numerosa; tra i tanti fratelli e sorelle, figurava anche quella Violeta Parra che ha dato voce ad alcune delle più belle e struggenti canzoni del suo paese. E lui mescolava la matematica e la fisica alla poesia. E deve essergli venuta proprio della fisica l'idea dell'antipoesia, come se si trattasse di un'antimateria sonante che riesce inglobare parti diverse e contrastanti di mondo.

Cosa fosse l'antipoesia è difficile da dire e Parra stesso ci scherzò su costruendoci un vero e proprio Test. Cos'è un antipoeta? «Un commerciante di urne e bare?/ Un sacerdote che non crede in niente?/ Un generale insicuro?/ Un generale che ride di tutto?/ Anche della vecchiaia e della morte?». E cos'è l'antipoesia? «Una tempesta in un bicchier d'acqua/ ...Una bara a reazione?/ Una bara a forza centrifuga?/ Una bara a gas di paraffina?/ Una camera ardente senza defunto?». Una sfilza di domande, una sull'altra, verso dopo verso, con in fondo questa conclusione: «Barri con una croce/ La definizione che considera corretta».
 
Se ne evince che il poeta, con il suo volto che ti faceva pensare a un volatile che si guarda attorno prima di spiccare il volo, era anche un burlone. E come il nostro Palazzeschi, a volte diceva: «Lasciatemi divertire». Potremmo dire che Parra si colloca nella grande tradizione della poesia cilena dalla parte opposta di Pablo Neruda. I due poeti erano troppo diversi per amarsi. E Parra una volta disse: «Pablo è petto di tacchino, io sono la zampa del gallo». Chi ha commentato questa frase ha notato che «fingendo di accreditare il rivale», in realtà lo teneva a distanza. Perché? «Perché la zampa di gallo è più grezza e popolare ma più saporita, mentre il tacchino fa la sua figura, ma il sapore è poca cosa». Ironia, di nuovo, e antipoesia.

D'altronde i poeti sono esseri singolari. E per Parra: «Ogni poeta che ha stima di se stesso/deve avere il suo proprio dizionario». E quando quel dizionario si esaurisce, bisogna avere il coraggio di dire: «Ormai non mi rimane niente da dire/ Tutto quello che dovevo dire/ È stato detto non so quante volte». E aggiungeva: «Solo una cosa è chiara/ Che la carne si riempe di vermi». Di nuovo, quelle bare delle quali parlava Bolano. Va detto però che quando muore un poeta, succede che si allestisca una camera ardente, ma il defunto non c'è. Esattamente come profetizzato in uno dei punti interrogativi curvati nell'Antipoesia.

Il defunto non c'è, perché il poeta è subito altrove, si ricongiunge con il suo linguaggio. E nel caso di Parra con il suo desiderio di dare altri nomi alle cose, di lasciare libero anche il nome di Dio. «Che ognuno lo chiami come vuole/ Questo è un problema personale». E sembra una strana preghiera quella sua poesia nella quale sostiene che è impossibile capire i cileni: «quelli che sono rimasti qui/ non pensano ad altro che andarsene/ questo paese non vale niente/ quelli che se ne sono andati sognano di tornare/ inutilmente perché non si può/ madre mia che stai nel cielo/ santificato sia il tuo nome/ lasciali tornare in patria/ non permettano che muoiano nell'esilio».

Per fortuna, a Nicanor Parra è successo di morire in patria, a Las Cruces, dove aveva deciso di andare a vivere già negli anni Ottanta, si dice avendo in mente quell'Isla Negra dove aveva vissuto qualche decennio prima e dove aveva vissuto anche Neruda. Inutile capire i cileni, insomma, com'è inutile capire tutti quei popoli che con la loro terra hanno instaurato un poetico litigio.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA