Quando Stendhal «recensì» il San Carlo

La ristampa del diario del grande scrittote

L'incendio San Carlo
L'incendio San Carlo
di Ugo Cundari
Giovedì 14 Marzo 2024, 10:44
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Quando il ventiquattrenne francese Stendhal (1783-1842), all'anagrafe Marie-Henri Beyle, arriva a Napoli, nel 1817, rimane impressionato dai soliti lazzaroni seminudi che non portano rispetto a nessuno, neanche al re, tranne che a san Gennaro: «Il sentimento del dovere, che è il carnefice del Nord, non tocca il cuore del lazzarone. Se ammazza il suo compagno in uno scatto di rabbia, il suo dio, San Gennaro, lo perdona, purché sappia concedersi l'ulteriore piacere di andare a sfogarsi a proposito della propria rabbia ai piedi del frate che lo confessa». Coglie come filosofia diffusa quella del carpe diem: «La sensazione presente è tiranna dell'uomo meridionale. A Napoli, se una bella donna abita di fronte a voi, non esitate a farle dei cenni». Nota che «Il popolino napoletano è corrotto dal clima troppo mite» e che tutti, pescivendoli e marchesi, sanno usare bene le lame, tanto che il morto ammazzato ci scappa facile e quando qualcuno «a Napoli, vi dice freddamente: "L'anno scorso, nel mese di agosto, ebbi una disgrazia" significa: "L'anno scorso, nel mese d'agosto, ammazzai un uomo"». Via Toledo è una strada «allegra e felicissima dove è impossibile trovare posto in albergo».

Insomma, Stendhal come tutti gli altri viaggiatori stranieri del periodo, e non solo, le sue pagine come quelle di tutti i turisti eccellenti del Gran Tour, sia pur partorite da uno dei più grandi scrittori dell'Ottocento, autore di romanzi ormai classici come Il rosso e il nero e La certosa di Parma.

Ma c'è altro a conferire originalità al suo diario così come è riportato in Roma, Napoli e Firenze, tornato di nuovo in libreria a trent'anni dall'ultima edizione, fra l'altro con note e appendici inedite, per la Humboldt (pagine 362, euro 28, traduzione di Bruno Schacherl, fotografie di Delfino Sisto Legnani).

Stendhal, grande sostenitore del diritto dei popoli all'indipendenza da ogni tirannia straniera, nel suo viaggio in Italia scommette su Napoli come capitale di una rivolta liberale nazionale. Qui tutti, di qualunque ceto, hanno in odio i Borbone e rimpiangono la Repubblica del 1799. È dei napoletani l'esempio politico che tutti i popoli schiavi dovrebbero seguire, come sottolinea nella prefazione Carlo Levi. Scrive Stendhal: «Vedo, da certi indizi, che si saprebbe cospirare meglio a Napoli: ci sarebbero azioni e non parole. Questo paese non può mancare di ottenere le due Camere entro vent'anni. Lo vinceranno dieci volte, si ribellerà undici. Il regime retrogrado è umiliante anche per l'orgoglio della nobiltà».

Ed è anche un testimone privilegiato della prima al San Carlo, il 12 gennaio 1817, dopo la ristrutturazione a seguito dell'incendio dell'anno prima. «Ecco finalmente il gran giorno dell'inaugurazione del teatro: follie, torrenti di popolo, sala abbagliante. Bisogna dare e ricevere qualche pugno e qualche spinta energica. Ho giurato di non avermene a male, e ci riesco: ma ho perduto due falde della giacca». Una volta dentro: «Non esiste nulla in Europa, non dirò che si accosti, ma che possa, magari da lontano, dare un'idea di ciò. Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è un colpo di stato: lega il popolo al re più di una costituzione».
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