Il Giappone e il taccuino dell'anima
flash letterari di una terra “estrema”

La copertina del libro
La copertina del libro
di Leonardo Jattarelli
Domenica 9 Ottobre 2016, 16:26 - Ultimo agg. 16:29
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«...Io ho sperimentato sulla mia pelle l’alienazione, la frustrazione, la gioia pura e il massimo stupore, più qualcosa di sfuggente al nostro percepire occidentale, che definirei di compartecipazione a una coscienza superiore di struggente bellezza, un rapimento sensoriale che ti logora dentro e di cui non puoi fare a meno». Il viaggio letterario, svolto come una sorta di diario fotografico dell’anima di Giorgia Sbuelz nel suo affascinante “Nippon Shots” (ed. L’Erudita) ti prende già dalle prime pagine. Ti sei già trasformato in un “gaijin”, parola che in giapponese ha il significato di straniero ma non solo: «Io preferisco “Una persona che sta fuori”» e sicuramente bisogna addentrarsi in una psicologia parallela, essere capaci e convinti di voler entrare nel mondo dell’“estremo” nel momento in cui metti piede in Giappone: «Non aveva torto Sofia Coppola - scrive l’autrice - nel suo “Lost in Translation”, quel momento di smarrimento in terra nipponica arriva prima o poi, anche se ti sei preparato anni per quel determinato incontro». 
Giorgia Sbuelz, che ha studiato Lingua e Cultura Giapponese specializzandosi poi in arti grafiche e pittoriche, mi ha raccontato di essere stata talmente emozionata al pensiero del suo primo incontro con il Giappone, da aver dimenticato la macchina fotografica. Dunque tutto quello che leggerete nel suo “Nippon Shots” sono traslazioni letterarie del desiderio di scolpire immagini. E questo sogno c’è tutto nel suo libro, che può diventare una guida turistica per chi voglia conoscere la vera terra dei samurai, solo se ci si ferma a leggere le note a margine di ogni pagina: «Non volevo essere solo una gaijin in viaggio, volevo che il mio viaggio diventasse una storia e volevo che questa storia facesse indissolubilmente parte della mia».
Da Shibuya («uno dei quartieri più popolari di Tokyo, famosa è la sua stazione e ancora di più il suo incrocio, almeno quanto quello di Times Square a New York») al fiume Kanda, dalle Kokeshi (bambole tradizionali giapponsei realizzate in legno») all’antica Kamakura, capitale del Giappone dal 1185 al 1333 descrivendo la quale Sbuelz annota cosi: «Reminiscenze d’altre vite si schiantano al sole rosso d’agosto, sminuzzate e vaporizzate sul tetto di questo tempio. Il Grande Buddha buca la montagna verde, accondiscendente spettatore di una bambina di trent’anni che gioca a campana, nel Paese che non invecchia mai».
Dotonbori
Tra le pagine più toccanti e significative dell’ “estremo” di questa terra che sembra percorsa da miliardi di scariche elettriche pronte a trasformarsi in nuove vite, c’è la descrizione della Gente di Dotonbori, un popolare quartiere di Osaka che vive soprattutto di notte: «“Mangia fino a rovinarti” è lo slogan. E bevi fino a svenire. Stordisciti di insegne a neon. Boccheggia tra la folla e camuffati nel caos, lasciati trascinare in questo strabordante parco giochi per adulti. Gli impiegati allentano le cravatte e slacciano le camicie: gettano i bilanci nella mischia e annegano le pratiche in fiumi di birra e sake. Le ragazze vestite da Sailor Moon invitano i clienti nei locali con promesse di gustoso cibo, o gustoso sesso? Un altro giro di sake e un altro giro di giostra, si scende all’alba, si risale al tramonto».
Non manca la tetra Hiroshima che porterà sempre tatuato sulla pelle l’infinito orrore dell’atomica del ‘45: «Hiroshima, tu segui la sorte di alcuni divi del passato ricordati più per la fine tragica che per le loro virtù. Eppure sei bella, con il tuo coraggio, con le tue cicatrici, con la promessa di un mondo più clemente».
  
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