Sud e magia, ripensare la lezione di De Martino

Ristampato il classico dell’etnografo napoletano del 1959

Sud e magia, ripensare la lezione di De Martino
di Ugo Cundari
Lunedì 20 Maggio 2024, 20:38
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Entra in funzione un sistematico filtro ideologico quando si interpretano gli studi più significativi sul Meridione. Il serio diventa faceto, il profondo superficiale, l’insolito macchietta. Una sorte simile non poteva certo toccare a un classico dell’etnologia, Sud e magia dell’etnografo napoletano Ernesto De Martino (Napoli 1908 - Roma 1965), appena tornato in libreria per Einaudi (pagine 256, euro 22) in un’edizione più ampia, con contributi nuovi, un apparato fotografico arricchito, la dotta introduzione di Marcello Massenzio e Fabio Dei. Ma... c’è un ma, che merita di riaccedere l’attenzione sul volume, e non solo sulla sua prima parte, dedicata alla sopravvivenza di magie cerimoniali.

In quest’opera, pubblicata per la prima volta nel 1959, l’autore racconta la vita di sofferenza e di riscatto, attraverso riti magici, dei contadini della Lucania. È questa la prima parte del libro, ed è di sicuro la parte più importante, quella che di solito i critici hanno messo in evidenza. Pochi si sono soffermati, però, in modo giusto sulla seconda parte, fermati, a loro modo, dagli esorcismi. «Sud e magia è un’opera caposaldo di de Martino ed è la sua opera più fraintesa, ingiustamente sottovalutata in tutta la sua enorme valenza politica e storica, in tutta la sua complessità di pensiero. È stata letta come il catalogo curioso e pittoresco delle operazioni magiche nelle culture contadine del Sud. La sua portata è stata colpevolmente minimizzata», polemizza Massenzio, cercando di spostare l’attenzione sulla seconda parte del volume..

Alla magia liberatrice De Martino assegna un significato più profondo di quanto fino a quel momento, almeno in Italia, si fosse pensato, e già questo è un punto di grande rilievo, ma nella seconda parte del volume prende corpo una filosofia di pensiero forse inedita. Napoli ha dato i natali a grandi figure dell’illuminismo, da Vico a Giannone a Genovesi a Filangieri, il loro pensiero si è diffuso in tutta l’Europa illuminista ma ha trovato grosse resistenze nel regno di Napoli. Eppure la strada era spianata, nel Seicento a Napoli e a Milano ci furono due epidemie di peste «e ai piedi del Vesuvio non si ebbero rigurgiti superstiziosi come nella città settentrionale», nota De Martino, secondo il quale le ragioni del blocco della svolta illuminista al Sud sono tante, a cominciare da una classe politica non all’altezza figlia di un regime borbonico liberticida, da condizioni economiche poco favorevoli, dalla mancata rivoluzione industriale, dall’assenza di una borghesia industriale.

In queste condizioni storiche, nei circoli intellettuali napoletani si diffuse una mentalità all’apparenza solo ridicola, in realtà capace di condizionare la dovuta diffusione di una mentalità razionalista, concreta, in grado di cambiare la società in meglio. I napoletani iniziarono a credere al potere della jettatura, «col risultato di dare origine a una nuova formazione mentale e di costume».

L’untore fu Nicola Valletta, docente di Diritto civile all’università, che nel 1787 pubblicò Cicalata sul fascino, volgarmente detto jettatura, riedita nel 2004 da Imagaenaria, che all’epoca diventò un best seller. Valletta fece una scelta opposta a quella dell’Illuminismo, «auspicando una scienza che nella scuola istruisse gli uomini a riconoscere e fuggire gli jettatori, piuttosto che fare dei nuovi sistemi e rovinare l’uomo e il mondo per riformarlo».

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E così i più illuministi e istruiti dei napoletani, e poi di tutti i meridionali, «covarono nell’animo quella zona d’ombra della jettatura», colpevoli al pari di quelli che, ancora oggi, dicono «non è vero ma ci credo» dice Massenzio. L’impianto sofisticato e multidisciplinare di Sud e magia, poco rilevato dai critici, dà luogo a una visione del Mezzogiorno, arretrato culturalmente perché arretrato economicamente e industrialmente, talmente lucida da aver costituito, altro merito non riconosciuto, la base per le premesse per una più autentica Questione meridionale.

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