Morto il poeta francese Yves Bonnefoy

Morto il poeta francese Yves Bonnefoy
di Renato Minore
Sabato 2 Luglio 2016, 12:08 - Ultimo agg. 19:08
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«La poesia non deve portare un messaggio, o una verità decifrabile. Deve essere una scrittura, deve rimettere in gioco tutto ciò che noi crediamo di sapere. Da questo punto di vista continuo a pensare che la poesia sia la forma d'impegno più fondamentale, più profondo che esista. Disporsi poeticamente significa disporsi democraticamente. La poesia fa quello che fa la democrazia che, per definizione, concede all'altro la possibilità di essere se stesso». Così diceva Yves Bonnefoy in una delle sue ultime conversazioni a Percoto, dove lo avevo incontrato l’anno scorso in occasione del premio Nonnino.

Yves Bonnefoy, che è morto ieri sera a Parigi, era nato a Tours, viveva a Parigi, dove aveva insegnato dagli anni Ottanta al Collège de France. Il 23 giugno aveva compiuto novantatre anni. Amico del surrealista Breton, laureato in matematica e studioso di filosofia e arte, era il più grande poeta di lingua francese del nostro tempo e uno dei maggiori del mondo.

Ha scritto Jean Starobinski che i libri di Yves Bonnefoy in cui l'accento personale è così forte, e l'io dell'asserzione poetica si manifesta con potenza e semplicità, hanno per oggetto il rapporto con il mondo, e non la riflessione interna all'io. Così la sua opera «è una delle meno narcisiste che si possano immaginare». Questa idea così potente e germinativa può accompagnare l’intera lettura della sua opera che nella nostra lingua è stata raccolta nel Meridiano pubblicato nel 2011.

Qui tra i primi testi antologizzati, troviamo “Movimento e immobilità di Douve”, la raccolta del 1953 che è uno dei massimi libri di poesia del secolo scorso. Il surrealismo d'origine è portato alle sue ultime conseguenze: un furore amoroso e conoscitivo trasforma il gioco crudele, casuale e cerebrale di tanta poesia e pittura francese d'avanguardia nella larga sinfonia funebre di una discesa agli inferi sentita come passaggio obbligato, l'ultimo ancora da compiere, nell'esplorazione della "notte dell’ essere", per l'acquisto di una sapienza e salvezza di cui solo la poesia può farsi portatrice. Per Bonnefoy poesia è “dare alle parole la loro capacità di descrivere la pienezza delle cose, la loro luce, la loro vita e questo accade solo quando noi riusciamo a divenire un corpo unico con il luogo e l'istante della nostra esistenza”.

Il Meridiano presenta l’intera opera poetica di Bonnefoy: “Ieri deserto regnante”, “Pietra scritta”, “ Nell’insidia della soglia”, “Quel che fu senza luce”, “Qui dove ricade la freccia”, Inizio e fine della neve”, “La vita errante”, “ Le assi curve”; “La lunga catena dell’ancora”, più gli inediti per l’Italia del 2009 e 2010 le più rappresentative prose poetiche e una scelta di “Scritti sulla poesia”. Alle traduzioni “storiche” di Diana Grange Fiori, si affiancano quelle di Fabio Scotto, che per anni ha seguito e accompagnato Bonnefoy dandogli voce in Italia. Nel commento Scotto conduce un’analisi minuziosa delle poesie permettendo al lettore di immergersi nell’opera di Bonnefoy e mettendo in luce il fitto reticolo di richiami intertestuali, l’universo artistico di riferimento, le fonti ispiratrici (spesso iconografiche), i significati simbolici e allegorici, i sottosensi filosofici.

«Leggere un grande poeta non è aver deciso che è un grande poeta, è chiedergli di aiutarci. È attendersi dalla sua radicalità una guida», così scriveva Bonnefoy a proposito di Arthur Rimbaud, su cui per oltre cinquant’anni si è interrogato e le tracce della sua passione e del suo dialogo con il poeta di Charleville sono depositate in un volume davvero prezioso (“Rimbaud. Speranza e lucidità”, Donzelli.) Un diario, come il racconto di un lunghissimo amore mai sopito: l’amore per i versi di Rimbaud che, in ultima analisi, sembra coincidere con quello per la poesia. «Con l'andare del tempo- mi diceva ancora Bonnefoy in quella conversazione - la poesia si avvicina sempre più a una sorta di riflessione filosofica e insieme psicanalitica. Non per dare vita a dei poemi farciti di pensieri e di idee, perché questo è proprio quello che va assolutamente evitato, bensì perché la conoscenza di sé stessi è ciò che permette di destrutturare le visioni stereotipate del mondo, che sono quanto di più soffocante possa esistere per la poesia stessa. Deve fare apparire la realtà come la cosa fondamentale, la più semplice, ma per fare ciò deve passare attraverso una prova, quella di vivere fino in fondo il pensiero della propria epoca».

Gli chiesi ancora, in quell’occasione, se mai si fosse accorto che una sua poesia o anche un suo solo verso avesse aiutato qualcuno. «Mi piacerebbe (mi rispose), ma credo comunque che questo alla fine accada, perché quello che è contenuto in un poema, può essere rivissuto dal lettore, per entrare in contatto con sé stesso, ha sempre a disposizione le parole. Qualche volta mi è stato detto che i miei poemi facevano del bene e niente può avermi fatto più piacere. Una volta qualcuno mi confessò addirittura che la lettura di un mio scritto lo aveva dissuaso dal suicidio e devo dire che da allora non ho mai smesso di pensare a questa cosa, in un certo senso da quel momento mi sono sentito come giustificato».
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