I primi 25 anni di "Arte&Carte" nel segno della creatività e del pensiero divergente

Un dettaglio della copertina del numero speciale di "Arte&Carte"
Un dettaglio della copertina del numero speciale di "Arte&Carte"
di Donatella Trotta
Giovedì 23 Giugno 2016, 15:43 - Ultimo agg. 18:10
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Venticinque anni di un sodalizio culturale libero e indipendente, animato dal pensiero divergente, dal rifiuto dell’omologazione e dalla pratica feconda di sconfinamenti disciplinari e sperimentazioni. Un quarto di secolo, a cavallo di due millenni, segnato da un impegno tanto tenace quanto coerente e aperto, nella convinzione (come ci ricorda la rodariana Grammatica della fantasia) che se «la mente è una sola, la sua creatività va coltivata in tutte le direzioni». Un frammento significativo di storia culturale del presente, non soltanto cittadino, che negli anni si è configurato come spazio non scontato di confronto rigoroso e aggregazione rispettosa di molteplici competenze, passioni e curiosità: dalla letteratura all’arte, dalla musica al cinema, dal design alla grafica, dalla fotografia alla comunicazione. Si intitolava non a caso «Arte&Carte, la sfida dell’utopia» il primo editoriale pubblicato da Antonio Filippetti nel lontano aprile del 1991 sulla rivista di “immagini percorsi utopie della cultura contemporanea” - da lui fondata e ininterrottamente diretta con l’apporto di innumerevoli specialisti e intellettuali – dove Filippetti, mite e schivo anglista e comparatista partenopeo, presidente dell’Istituto di Cultura del Mezzogiorno, già denunciava la dilagante e «straziante banalizzazione», il «livellamento culturale» e la «ripetitività» seriale come “armi” del successo a cui contrapporre invece, secondo la lezione di Adorno, l’arte concepita come «una non funzione, la negazione del meccanismo, il rifiuto aperto di integrarsi in quegli ingranaggi»; con la convinzione (profetica) che «la rivoluzione si fa nella letteratura, con la politica è un’illusione».
 
Venticinque anni dopo, tra memoria e progetto, «Arte&Carte» festeggia la ricorrenza dei suoi primi cinque lustri di vita con un convegno nel nome dei «linguaggi della creatività» e un numero (davvero) speciale della rivista, realizzato per l’occasione e dedicato alla memoria di Romano Picciché (giurista e umanista siciliano che guidava la redazione di Milano), che sarà presentato durante i lavori in programma domani, venerdì 24 giugno, alle ore 17 a Napoli, Palazzo Serra di Cassano, Via Monte di Dio 14. Fitta la scaletta degli interventi, che rispecchia la varietà dei contributi “d’autore” pubblicati nella rivista, di grande formato, con una particolare eleganza grafica e una raffinata ricerca iconografica, curate da Mariano Cinque, che ben si sposano con la ricchezza dei testi in sommario (a partire dalla copertina in quadricromia: suggestiva rielaborazione di una celebre opera di Escher costellata di messaggi subliminali, tra i quali l’omaggio ai 400 anni dalla morte di Shakespeare) e con un corposo inserto poetico a suffragio del progetto «Liberi in Poesia» che l’istituto Culturale del Mezzogiorno e la rivista portano avanti da alcuni anni. Una festa della cultura, insomma, a suggello della creatività, a tutela della lingua e cultura italiana e della passione civile.
 
L’incontro, declinato in tre sezioni (letteratura, arti visive e musica/teatro), sarà infatti aperto da Antonio Filippetti («Una creatività senza tempo»), seguito dagli interventi di Nicola De Blasi in rappresentanza dell’Accademia della Crusca («La lingua, memoria e difesa culturale»), lo scrittore ed ex bibliotecario Mauro Giancaspro («Il libro e il destino della letteratura»), Natale Antonio Rossi, presidente della Federazione Unitaria Italiana Scrittori («Qualità e unicità  dell’autore»); nella seconda sezione, interverranno Enzo Dall’Ara («Arti visive: L’arte e la ricerca dell’uomo universale») e Luigi Mazzella («L’arte cinematografica: linguaggi culturali a confronto»), mentre la terza sarà incentrata sull’intervento di Gildo De Stefano («La sociologia del jazz sulla traccia di Zygmunt Bauman») e su «La musica della poesia per l’omaggio a Shakespeare» (1616/2016). Ne parliamo con il protagonista, già docente di letterature comparate all’università La Sapienza di Roma oltre che infaticabile quanto discreto e carsico operatore culturale urbano che ha fatto di un inattuale, minoritario e signorile understatement la propria cifra stilistica ed esistenziale, intrisa di rigore e leggerezza, serietà e ironia.
 
Venticinque anni, Filippetti, sono un bel traguardo… «Indubbiamente. Questo numero speciale rappresenta a mio avviso una svolta storica, e non solo per la ricorrenza che segna una durata abbastanza unica e spesso irripetibile nel panorama delle riviste culturali, ma anche in considerazione del fatto di aver centrato sin dall’inizio, con la nascita di questa testata, un obiettivo preciso. Ossia, la certezza di aver  visto giusto  ad aver scelto la strada della creatività e dell’originalità del pensiero creativo come “arma” per contrastare l’omologazione aberrante e l’appiattimento delle coscienze: già 25 anni fa comprendemmo infatti che l’unica difesa contro la deriva dei comportamenti stereotipati fosse l’impegno costante a sostenere, con ogni forza, i valori di una cultura  autenticamente libertaria,  senza soggezioni di parte o  apparentamenti utilitaristici».
 
Il bilancio di questo impegno è positivo, alla luce dell’attuale cambiamento del mondo e  della crisi epocale in atto? «È sicuramente vero che il mondo è cambiato e sta cambiando a una velocità tanto vertiginosa quanto imprevedibile; come è vero che i nostri ideali appartengono probabilmente, oggi, a una minoranza. Ma un dato resta per noi incontrovertibile: questi 25 anni che abbiamo vissuto con la nostra rivista ci hanno confermato un assunto di fondo, ovvero che nel progressivo imbarbarimento che ha coinvolto la società nel suo complesso, con la relativa perdita del  sentimento della bellezza e del valore della memoria, il ricorso alla creatività della cultura appare ancora oggi come il solo valido antidoto a cui affidarsi, per continuare un’opera di resistenza, o resilienza, che alla fine non potrà non avere la meglio».
 
Filippetti, dopo tanti anni e tante lotte lei preferisce insomma dare ancora spazio all’ottimismo della volontà, contro il pessimismo della ragione? Lo studioso sorride: «Veda, malgrado la stanchezza sopravvive in me l’entusiasmo della prima ora. Perché sono convinto che occorra ancora oggi vigilare attentamente sugli autentici nemici della vera cultura della libertà creativa, quei “franchi tiratori” sempre in agguato e pronti, con i loro travestimenti effimeri, ad invadere il campo: cecchini maliziosi che girano tra giornali, rotocalchi, talk-shows, trovando ovunque una tribuna accogliente. Ritengo che sostenere con ogni mezzo tutto quanto abbia a che fare con la creatività autentica della cultura possa aiutare a comprendere meglio il futuro che ci aspetta, ma soprattutto possa insegnarci a pensare criticamente, imparando a non servire».
 
Rivendicazione che sembra rilanciare una sorta di manifesto della poetica della rivista, oltre che un condivisibile pensiero del filosofo e sociologo francese Edar Morin: La rinuncia al migliore dei mondi non è la rinuncia ad un mondo migliore. Auguri ad «Arte&Carte»!
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