Tra bulli e parole, in un albo e in due giornate a Napoli le vie dell'educazione creativa alla diversità

Illustrazione di Chiara Gobba
Illustrazione di Chiara Gobba
di Donatella Trotta
Sabato 15 Ottobre 2016, 14:06
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Sua Maestà il Bambino. È passata molta acqua sotto i ponti da quando Sigmund Freud ironizzava sulla condizione dell’infanzia come invenzione ottocentesca, per analizzare il narcisismo. E oggi che, in piena era della «disintermediazione digitale» e in tempi di «fenomenologia del selfie» (si vedano i dati dell’ultimo Rapporto Censis/UCSI sulla comunicazione, XIII/2016, I media tra élite e popolo) le derive narcisistiche sembrano lambire ogni campo della vita in pieno disagio di civiltà, la condizione dell’infanzia (e quella della famiglia) sono segnate da un duplice paradosso. Da un lato, adulti in piena crisi di “adultescenza”, ossia incapaci di crescere davvero assumendosi precise responsabilità, non soltanto educative (il felice neologismo è del padre gesuita Francesco Occhetta, scrittore della «Civiltà Cattolica»); dall’altro lato, bambine e bambini ansiosi di crescere in fretta, con un’adultizzazione (ed erotizzazione) precoce non priva di conseguenze, talvolta drammatiche (si pensi solo al problema del cyberbullismo, o del sexting, ossia il postare con disinvoltura immagini e video intimi o “hard”).

Il tema, nei suoi molteplici aspetti, sarà affrontato a Napoli durante gli appuntamenti organizzati per la quarta edizione di «Essere bambino. Le giornate per il benessere dell’infanzia e della famiglia», curata dall’Associazione di promozione sociale «Oltre la tenda, uno spazio per crescere». Quest’anno, il centro di psicologia vomerese - che si avvale del patrocinio dell’Università Suor Orsola Benincasa, della Regione Campania, del Comune di Napoli e del Comitato Regionale Unicef - ha infatti deciso di mettere a fuoco un tema “eticamente sensibile”:  «Educazione alla diversità. La crescita tra creatività, autonomia e rispetto». Riflessione a più voci che giunge quanto mai opportuna, e che sarà declinata attraverso un convegno, in programma giovedì 20 ottobre (dalle ore 15, presso la Sala Villani dell’Università Suor Orsola), e una manifestazione pubblica, domenica 23 ottobre (dalle 10.30, nella zona pedonale di Via Luca Giordano), tra stand informativi, laboratori gratuiti, incontri, performance artistiche, concerti live e danze. L’obiettivo?  «È quello di contribuire – spiegano gli organizzatori – in modo incisivo e condiviso alla promozione del benessere psico-fisico e alla prevenzione in ambito psicologico. Per questo l’evento prevede la partecipazione di altre associazioni e organizzazioni che rappresentano alcune importanti realtà partenopee in questo ambito: testimoni, sul nostro territorio, di una forte rete di sostegno per le famiglie, pronta a intervenire in ogni situazione».

Già. Qualche nome? Ci saranno, tra gli altri, ArtiTerapeutiche, dedita all’arte e alla relazione d’aiuto; Voce&Dintorni di Anna Marsicano, che si occupa di logopedia e canto; Obiettivo Persona, centro di psicoterapia umanistica; Isolimpia, Giochi Isolimpici Partenopei; Nea Zetesis, Istituto di Psicologia umanistica Esistenziale e transpersonale; Fondazione Govoni per lo studio e la cura di autismi e disturbi della comunicazione; Aid (Associazione italiana dislessia). Non solo. Tra gli ospiti del convegno e della tavola rotonda (che prevedono gli interventi di Enricomaria Corbi, Maria Beatrice Giordano, Fabrizio Manuel Sirignano, Laura Mancini, Francesca Cannata, Walter Mastropaolo e Fiammetta Miele, moderati da Francesco Bellofatto), anche la giornalista Maria Luisa Sgobba, autrice di un libro per bambini dal titolo Bullo macigno (Progedit editrice, con illustrazioni di Chiara Gobbo): una storia emblematica, in forma di filastrocca, che narra con efficace semplicità i retroscena di comportamenti infantili prepotenti, arroganti e devianti dietro i quali esiste un oggettivo e spesso ignorato disagio, che dai carnefici si trasferisce sulle vittime, in un circolo vizioso e perverso che può essere spezzato recuperando in primis, magari con un sorriso, l’uso corretto delle parole: che possono pietre o frecce scagliate contro bersagli mobili, o balsami per le ferite inferte dalla vita.

 “Bullo macigno”, il protagonista della storia di Sgobba, è un bambino fuori misura, massiccio ineducato e violento, figlio di papà Monte dei Maschi che lo istiga all’aggressività e alla sopraffazione attraverso la sua forza fisica, e di Mamma Cisterna che tende a colmare il disagio di averlo messo al mondo così grosso e “diverso” dagli altri, stemperandolo in un permissivismo che concede ogni cosa ai capricci del figlio. Il risultato è che il bambino, già additato per la sua insolita mole e, peggio, per la sua cattiva educazione che lo porta a prevaricare gli altri in un crescendo di emarginazione e dispetti, non riesce a dosare né le forze né tantomeno le parole, finendo per costruire intorno a sé una gabbia che lo isola dagli altri. Fino a quando, almeno, non scoprirà il codice giusto per comunicare accettando le regole dell’arte del convivere. E saranno proprio i suoi coetanei ad aiutarlo a capire: a dimostrazione che, a saperli ascoltare, i bambini davvero possono «pensare grande», come sottolinea in un suo libro il maestro della comunità-laboratorio di Cenci, Franco Lorenzoni.

Sgobba, che ha una formazione umanistica e oltre ad essere giornalista di Mediaset da Bari  e mamma di due figli è anche presidente regionale dell’UCSI Puglia, sa bene che dall’uso della parola dipendono tante cose: anche per questo, in Bullo macigno ha scelto la forma poetica della filastrocca: per arrivare più direttamente al cuore di tanti. E far comprendere, così, quali vie siano possibili intraprendere per l’«informazione e la prevenzione per il disagio dell’infanzia», non a caso titolo del suo intervento a Napoli. In questo senso, il suo albo (adeguatamente illustrato dal tratto rotondo e colorato di Chiara Gobba) è sì dedicato ai più piccoli, ma destinato anche - come sottolinea nel libro Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile «Cesare Beccaria» di Milano, avvezzo a trovarsi fra bulli con il bisogno primario di comunicare – «agli adulti e a tutti quelli che non si sottraggono all’impegno e alla gioia di educare».
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