La scrittrice americana Sharon M. Draper racconta il suo best seller, tradotto in 16 paesi: «Il segreto di Melody? La forza del sogno, e della volontà»

Sharon M. Draper
Sharon M. Draper
di Donatella Trotta
Sabato 27 Agosto 2016, 19:23 - Ultimo agg. 16 Settembre, 22:46
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Melody è una bambina piena di parole. Di emozioni. E di sensibilità per la musica, che le evoca colori diversi e cangianti, legati a stati d’animo differenti in una esperienza sinestetica non insolita, in soggetti giovani con disturbi neurologici dovuti a lesioni cerebrali o delle strutture nervose periferiche. È una creatura particolarmente intelligente, dalla formidabile memoria fotografica, curiosa della vita, determinata ad apprendere e anche molto, molto spiritosa. Solo che quasi nessuno lo sa. A parte i suoi genitori, che la amano e la capiscono, o la vicina di casa Violet Valencia, simpatica infermiera in pensione che le fa volentieri da baby sitter quando i suoi lavorano e pochissimi altri ancora, tra i suoi insegnanti e la giovane Catherine, che l’assiste a scuola. Perché Melody è una bimba speciale, in tutti i sensi: non può parlare, né camminare, essendo affetta da tetraplegia spastica, detta anche paralisi cerebrale. Ma se l’uso del suo corpo è limitato e fuori controllo, la sua mente vola ben oltre i confini della prigione materiale in cui Melody è costretta almeno fino a quando, verso gli undici anni, riesce finalmente a trovare un mezzo per esprimersi attraverso la tecnologia. Rivelando non poche sorprese, soprattutto ai suoi detrattori.

Non desta meraviglia che la storia di Melody, romanzo “long seller” del 2010 della statunitense Sharon M. Draper (ora nitidamente tradotto in italiano da Alessandro Peroni per Feltrinelli 2016, pp. 250, euro 13), sia andata a ruba in 16 diversi Paesi, attestandosi stabilmente per ben due anni nella classifica dei best seller del «New York Times» e conquistando moltissimi riconoscimenti, tra i quali il Parent’s Choice Award Silver Medal in Usa, il Sakura Award assegnato dai ragazzi in Giappone e l’ultimo Premio Andersen-Il Mondo dell’infanzia, Oscar della letteratura per ragazzi, da poco ricevuto come «miglior libro per lettori oltre i 12 anni». E non è un caso che Sharon M. Draper, classe 1948, madre di 4 figli e già nonna, continui a girare il mondo per parlare della sua Melody, protagonista di un libro che dovrebbero leggere tutti, bambini e adulti. In una delle sue venute in Italia ne parliamo con l’autrice stessa, affabile e sorridente signora residente a Cincinnati, Ohio.

Melody è un personaggio indimenticabile, che ben si presterebbe a una trasposizione cinematografica. La sua autrice non è approdata presto alla scrittura: come è riuscita a trovare la sua “voce” da scrittrice? «Ho iniziato da insegnante - esordisce Draper -, ma prima sono stata una fervida e onnivora lettrice. Per circa 25 anni ho insegnato letteratura inglese alle scuole superiori: insegnavo a leggere, a scrivere. Poi, ho iniziato a scrivere per i miei studenti: sapevo cosa poteva coinvolgerli. Con mia grande sorpresa, vinsi un concorso letterario e un mio racconto fu pubblicato sul mensile “Ebony”. Non mi sono più fermata: ho oltre 30 titoli all’attivo. E mi ritengo davvero fortunata. Perché ho imparato a sognare attraverso la lettura, ho imparato a creare sogni attraverso la scrittura, e ho imparato a tirar su sognatori attraverso l’insegnamento. Ecco, se dovessi definirmi non userei né la parola docente e nemmeno scrittrice: sono, semplicemente, una sognatrice». Ma anche l’autrice, come Melody, ha un rapporto particolare con la musica delle parole: «Adoro scrivere - ammette Sharon M. Draper -- la mia testa e il mio cuore sono pieni di parole che fluiscono appassionatamente: ma sono un’apprendista e una cercatrice di conoscenza, e cerco di coinvolgere i miei lettori nel mio viaggio. In questo senso, mi sento una creatrice, una visionaria, una poeta: perché mi avvicino al mondo con gli occhi di un artista, le orecchie di un musicista e l’anima di uno scrittore. E vedo arcobaleni dove gli altri vedono solo pioggia, intravedo possibilità dove molti scorgono soltanto problemi».

Un’ottimista della volontà, insomma. L’esperienza eccezionale di Melody evoca, pur nella oggettiva diversità, la storia vera di un giornalista francese, Jean-Dominique Bauby, colpito dalla “locked-in syndrome”, raccontata nel toccante libro «Lo scafandro e la farfalla» (1997), trasposto sul grande schermo nel 2007 dal regista statunitense Julian Schnabel con l’omonimo film interpretato dall’attore francese Mathieu Amalric. Per non parlare dello scienziato Stephen Hawking, non a caso scelto da Melody per redigere a scuola la biografia di un personaggio famoso. Dalla realtà alla fiction, colpisce in entrambe le storie la sfida di riuscire a raccontare un punto di vista chiuso, claustrofobico ma ricchissimo: quello di creature estremamente intelligenti, sensibili e vitali che non riescono tuttavia a comunicare con il mondo esterno per l’impedimento paralizzante della loro patologia, solo parzialmente aiutata dalle nuove tecnologie. Uno sforzo sovrumano, costellato di conquiste e scacchi, dolore e speranza, quello di farsi comprendere con l’energia della propria mente oltre la barriera del proprio corpo incontrollabile, che il libro di Sharon M. Draper descrive alla perfezione, con grande delicatezza, alta densità emotiva e – soprattutto - senza un filo di retorica.

«Melody viene dal mio cuore. Quando creo un nuovo libro, prima di tradurlo in parole scritte lo medito a lungo. È un processo lento. E quando Melody mi ha pregato di uscire dalla testa ho cercato di capire cosa potesse farmi mettere nei suoi panni, di comprendere come lei potesse sentirsi, e come si possa essere in grado di pensare in un corpo prigioniero, con tutte le frustrazioni che ne conseguono. Non conosco il libro di Bauby né ho visto il film ispirato dalla sua esperienza: ma ciò che cambia profondamente la storia, a mio avviso, anche rispetto alle storie ispirate da Hawking, è lo sguardo di Melody. Che è quello di una bambina, diverso dallo sguardo di un adulto. Questo fa la differenza» replica Draper. Già. Una differenza sostanziale. Che si riverbera, nel libro, nella narrazione in prima persona della protagonista, una bambina di 10-11 anni circondata dall’amore a tratti involontariamente eroico dei genitori, dalle cure intelligenti della vicina, signora V, e dall’attenzione di pochi insegnanti e operatrici davvero in gamba, a fronte di una schiera di medici, docenti e persino compagni di scuola che spiccano invece per indifferenza, cinismo, superficialità e presunzione: terreni fertili per la malerba del pregiudizio e dell’esclusione nei confronti della disabilità (o delle “diversità” tout court). La limpida e attraente architettura del romanzo di Draper, macchina narrativa dalla prima all’ultima pagina avvincente, non risparmia nulla al lettore: coinvolto in una storia che lo interpella, lo turba, lo commuove, lo scuote e lo diverte, anche grazie alla cifra ironica che percorre molte pagine di umoristica quanto provocatoria leggerezza di una quotidianità routinaria.

Empatia è allora la parola chiave, a voler sintetizzare un libro che non si può riassumere facilmente: ma quanto ha influito l’esperienza personale di Draper, madre di una figlia disabile, nella stesura di questo libro? Sarebbe riuscita a scriverlo lo stesso, o con la stessa potente efficacia, se non fosse stata toccata personalmente (come avvenne al giapponese Kenzaburo Oe con lo spiazzante testo Insegnaci a superare la nostra pazzia, che ripercorre gli sforzi di un padre per entrare in contatto con il figlio mentalmente menomato)? La scrittrice americana sorride: «Sarebbe proprio bello regalare una versione giapponese di Melody a Oe. Tutte le grandi storie – aggiunge - hanno origine da profonde verità che riposano dentro di noi, nell’interiorità dello scrittore, frutto di esperienze personali e di ricerca. Spesso però la verità ultima di una storia si trova in luoghi che neppure l’autore ha osato esplorare. Certo, suppongo che il personaggio di Melody sia anche generato da frammenti di esperienze che ho fatto allevando una figlia disabile. Tuttavia tengo a chiarire che il libro è fiction: Melody non è mia figlia, è un personaggio di invenzione: una bambina eccezionale nata da un miscuglio di amore e comprensione, una ragazzina che non può camminare né parlare e tuttavia – dentro di sé - è vitale, volitiva, profonda, colta e spiritosa, ma nessuno lo sa. Viene sottovalutata, derisa, fraintesa. Ma proprio affrontando ostacoli continui, tra barriere architettoniche e mentali, scopre in sé una determinazione insospettabile. Ho scritto questo libro - aggiunge Draper - con la convinzione che dobbiamo concentrarci non tanto sull’indifferenza del mondo quanto sulla capacità di empatia che ciascuno di noi possiede. Se io non posso far nulla contro tutta questa indifferenza, ho pensato, posso almeno offrire una storia che mandi un messaggio forte di empatia, comprensione e compassione. Certo, è solo un piccolo rivolo nel fiume della vita, o un minuscolo sentiero rispetto alle autostrade di misericordia che costruisce, ad esempio, papa Francesco: il quale sa parlare davvero a tutti, perché ciascuno di noi faccia la propria parte concorrendo, nel proprio piccolo, a fare la vera differenza».

Ma quanto la scrittura di libri come questo può essere salvifica? E si aspettava tanto successo, per una storia di formazione piuttosto inusuale? «No - ammette Draper -, quando l’ho scritto non avevo la minima idea dello scalpore che avrebbe suscitato. E non penso certo di poter cambiare il mondo con questo libro. Ma resto continuamente sorpresa dalla sua risonanza nei cuori di così tante persone e dall’eco riverberata dalle centinaia di lettere che ricevo, da studenti e da adulti. Diciamoci la verità, politici e legislatori non leggono libri di questo genere: a prescindere dalla sensibilità del Papa, la responsabilità di prendersi cura di un bambino affetto da disabilità ricade interamente sulle famiglie. Che andrebbero ascoltate di più nei loro bisogni, applicando e facendo rispettare meglio le leggi che ci sono. Mi colpisce, a qualche anno di distanza dalla prima edizione, che ci siano bambini che continuano a informarsi sulla salute di Melody e su ciò che fa, come se fosse una persona reale. Per me è una gioia, che rispecchia il mio sogno più grande: non tanto la ricerca di una impossibile felicità, ma la pienezza di un lavoro ben fatto che fa sentire bene con se stessi, con gli altri e con il mondo, da guardare così a testa alta. Ma mi ha impressionato molto la lettera di un ragazzo che che voleva diventare mio figlio: ha letto tutti i miei libri, ne ha percepito l’amore che li percorre e – confondendo realtà e fantasia - mi ha chiesto di poter trasferirsi da me perché era infelice, e così – ha aggiunto - avrebbe potuto spingere la carrozzina di Melody aiutandomi a proteggerla! Ovviamente gli ho risposto, cercando di contattare i suoi docenti per segnalare un caso di evidente e preoccupante disagio infantile».

Il suo libro, va ribadito, non indulge in didascalismi edificanti, consolatori o strappalacrime. Ma come è riuscita a evitare le trappole di ciò che è ormai considerato un filone narrativo di cassetta, la cosiddetta «Sick-lit» (letteratura della malattia)? «Melody non chiede al lettore di essere compatita, ma di essere capita: questo è il punto cruciale che mi ha evitato di scivolare sulla buccia di banana della pornografia del dolore» afferma Sharon M. Draper: «Perciò l’ho resa forte, con la volontà di mettersi alla pari con il resto del mondo, e con la precisa richiesta di essere trattata con uguale dignità delle altre persone, anche se non è in grado di parlare come gli altri. Su questo sono e sarò categorica: non volevo che si provasse compassione per Melody, ma che fosse accettata in quanto personaggio, e individuo, più che come rappresentante delle persone con disabilità. Ho cercato di trasmettere il dovere, prima ancora che il bisogno, dell’inclusività. E ho scritto questo libro anche per quelli che si voltano dall’altra parte, che fingono di non vedere o che non sanno cosa fare quando incontrano una persona che affronta la vita con evidenti difficoltà, mentre basterebbe solo sorriderle e salutarla. Ma in fondo, Melody è soprattutto un omaggio: a tutti i genitori di bambini disabili che lottano, spesso da soli, con il peso non sempre sostenibile di enormi fardelli. A tutti i piccoli incompresi, che potrebbero essere molto più aiutati se valorizzati nelle loro nascoste capacità. E a tutti gli assistenti che li aiutano con competenza pazienza e passione, in ogni passo del loro difficile cammino».
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