Eduardo, così sei scrittori rileggono i suoi capolavori |Parte 1

Venerdì 31 Ottobre 2014, 15:23 - Ultimo agg. 15:34
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«Napoli milionaria!» - La biografia di una città smemorata

di Maurizio de Giovanni


C’è un momento preciso in cui tutto cambia, e nulla sarà più come prima. Un attimo esatto, e il Genio riesce a raccontarlo senza parole, senza nemmeno utilizzare la spettacolare, unica mimica del suo volto scavato. Il Genio racconta due epoche con la semplice entrata di Gennaro Jovine nel basso rinnovato, mentre si prepara una festa di compleanno, all’inizio del secondo atto. Un uomo lacero, stanco, invecchiato dalla terribile esperienza della guerra, in un mondo che allo stesso tempo gli è familiare ma che non riconosce più.



«Napoli milionaria!» è lo spettacolare racconto del grande cambiamento, ed è la biografia di una città che, più di ogni altra, volta definitivamente le spalle a se stessa. Gennaro, inghiottito suo malgrado dal conflitto, portato chissà dove a guardare in faccia la morte e il dolore, ritorna in un luogo che ha deciso invece di lasciarsi per sempre alle spalle la sofferenza, non rendendosi conto di andare invece incontro al baratro di un’altra disperazione.



L’uomo osserva attonito il benessere che lo circonda e che non sente suo; lo percorre come una scena di cartapesta, come una rappresentazione teatrale all’interno di una rappresentazione teatrale. E non riconosce le persone, a stento capisce quello che dicono: prova a raccontare quello che gli è successo, ma nessuno lo ascolta; eppure l’altra volta, alla fine della Grande Guerra, tutti gli si raccoglievano attorno per sentire le storie di un confine lontano e di sofferenze altrui. Gennaro non capisce, e quando capirà deciderà di non capire. Lui è di un altro mondo: nel pianeta da cui viene contano valori come l’onore, la famiglia, l’amore.



Nel suo universo c’è fame, disperazione e dolore, ma anche dignità, rispetto e solidarietà. Ma Napoli è stata traghettata su una nuova riva, mentre lui non c’era.

Mentre sentiamo la sofferenza del testo srotolarsi sulle tavole dei mille palcoscenici dove questo capolavoro è stato e sarà sempre rappresentato, avvertiamo acuta nel cuore la nostalgia di un mondo che non abbiamo conosciuto ma che ha vibrato nei racconti di genitori e nonni.



E pensiamo che non poteva che cambiare, un luogo che ha sopportato la perdita di venticinquemila persone per i bombardamenti; che ha vissuto il dramma di intere giornate passate nei rifugi, a chiedersi quante macerie e quanti morti si sarebbero accumulati intanto all’esterno; che ha pensato che nulla e nessuno sarebbe sopravvissuto all’orrore di una morte che arrivava dall’alto e cadeva per distruggere, come una punizione del Padreterno.



Il Genio, con quattro assi di legno e pochi arredi, ha saputo dire dell’inizio dell’egoismo, della solitudine e del rabbioso desiderio di sopravvivere alla morte, e pure della fine del senso della comunità e del desiderio di non sopravvivere al proprio onore. Ha saputo dire, il Genio, della fine e dell’inizio: di una metamorfosi immediata e dell’eco di mille canzoni che si spengono nel ricordo. E nella notte sospesa della malattia di Rituccia e del futuro che ci aspetta, ha lasciato sul nostro cuore una cicatrice dolce che non smetterà mai di sanguinare.



***

«Natale in casa Cupiello» - Se al boss piace troppo ’o presepio

di Giuseppe Montesano



«A me mi piace ’o...»

«No! Basta, don Ciro! Non lo dite, vi prego! Mi butto in ginocchio... Vi prego... Non dite la frase...»

«Ma che frase? Che vi è venuto, mo’?»

«A me mi piace ’o presepio...»

«Eh, l’avete detta voi, lo vedete che siete incoerente? Eh... Ma che avevate capito? Io stavo a dìcere che a me mi piace ’o ccafè...»



«No, io credevo che...»

«E che vi credevate? Che dicevo che a me mi piace ”Natale in casa Cupiello”? Ma mica ve lo devo dire a voi...»



«Ah... E certo, certo... No, a me no, non me lo dovete dire... Lo so... ’O ssaccio! Lo so bene, quanto vi piace, lo so troppo bene!... Ma mo’, don Ciro, scusate... Non per essere insistente, ma non è che io me ne potessi andare a casa?».



L’uomo che dice a don Ciro che se ne vuole andare a casa si chiama Antonio S., ed è un attore. Antonio è stato sequestrato da don Ciro, che è un camorrista in pensione fissato con «Natale in casa Cupiello» di Eduardo, e da tre anni Antonio S. è costretto a recitare per Don Ciro, ogni domenica, facendo tutti i personaggi, «Natale in Casa Cupiello». Don Ciro vive in una villa persa in una immensa tenuta in Messico, circondato e servito da famigli, servi, guardie del corpo, e concede ad Antonio S. tutto ciò che l’attore vuole: ragazze con gli occhi verdi, uno chef rapito a Parigi, vini pregiatissimi, una carrozza borbonica per girare nel parco, e qualsiasi altro “sfizio”: don Ciro gli dà tutto, tranne la possibilità di andare via. Antonio S. è prigioniero di don Ciro e di Eduardo...



Spinto dalla mia passione per il teatro di Eduardo, che per me sostituisce il Grande Romanzo napoletano che nessuno ha scritto, anni fa pensai a una pièce intitolata «Forever Natale in casa Cupiello», che cominciava con il dialogo in parte riportato sopra, e che poi si evolveva così: Agli spettacoli di Antonio S., fatti in un teatro napoletano d’epoca comprato da don Ciro da una Amministrazione comunale in bolletta, partecipano tutti gli abitanti della villa, che dopo tre anni conoscono a memoria le battute e le dicono al posto dell’attore, ma che a un certo punto cominciano a interrompere le recite. Sono ragazzi con l’iphone, cameriere che vanno su facebook, messicani che guardano la televisione, coppie, fidanzati, amanti, un piccolo mondo molto contemporaneo: tutti interrompono Antonio S. per criticare la commedia, perché non capiscono o non sono d’accordo con certe idee, perché rifiutano la morale dell’opera, e propongono di modificare frasi, cambiare battute, inserire nuove parti. A questo punto Antonio S. comincia a difendere e a giustificare la commedia, finché, a sorpresa, e con vari colpi di scena... Be’, sorprese e colpi di scena un’altra volta, lettore. Perché la commedia «Forever Natale in Casa Cupiello» non è ancora finita...