L'allarme di Patuelli, presidente Abi
«Italia esposta agli speculatori»

L'allarme di Patuelli, presidente Abi «Italia esposta agli speculatori»
di Nando Santonastaso
Domenica 26 Giugno 2016, 23:35 - Ultimo agg. 27 Giugno, 21:25
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Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, l’Associazione delle banche italiane, non ha dubbi: se la Brexit era in qualche modo prevedibile - e lui era stato tra quelli che il pericolo l’aveva fiutato per tempo - oggi non è il caso di farsi prendere dal panico. «Tutte le nostre banche hanno riaperto stamattina, come è sempre accaduto», dice. Ma poi aggiunge: «Il problema vero non è la solidità del sistema finanziario del Paese su cui non c’è da dubitare, quanto la necessità di proteggerlo da speculazioni aggressive che la possibilità di vendite allo scoperto indubbiamente favorisce».

A cosa si riferisce, presidente?
«Il mercato bancario italiano è il più aperto in Europa: 20 anni fa sono state decise le privatizzazioni, il pubblico è stato fatto uscire completamente dalle banche. Di conseguenza con il solo capitalismo italiano e gli investitori esteri stabili si sono aperti molti più spazi per la speculazione aggressiva. Soprattutto per quella che vende allo scoperto, vende cioè cose che non ha».
Cosa vuol dire in concreto?
«Un privato cittadino se vende un immobile non di sua proprietà pone in essere più violazioni del codice penale. Se invece gli investitori di mercato vendono titoli che non hanno, lo possono fare. Siamo di fronte a una palese contraddizione che destabilizza soprattutto laddove il mercato è più aperto come da noi in Italia».
Perché questo dovrebbe preoccupare anche i risparmiatori e non soltanto gli addetti ai lavori?
«Perché si infrange una regola fondamentale: uno può comprare o vendere beni reali, non cose che non ha. Se lo fa alimenta movimenti finanziari che non sono basati sul reale e sono solamente manovre spericolate. È un meccanismo di anarcocapitalismo che inevitabilmente produce effetti negativi sull’economia».
Ma chi dovrebbe correggerlo? A chi tocca intervenire?
«Noi abbiamo ormai un pluralismo dedalico di fonti normative. Mentre prima sapevamo sempre chi era il titolare della sovranità, ora bisogna fare i conti anche con organismi sovranazionali che a loro volta sono intrecciati tra di loro. Non a caso l’anarcocapitalismo colpisce meno le economie nazionali dove c’è una forte presenza pubblica negli azionariati. In Germania dove i laender sono presenti nella proprietà delle banche è di fatto molto difficile vedere vendite allo scoperto. In Italia invece non ci sono più banche di Stato o Iri (di cui non ho nostalgia) e l’anarcocapitalismo ha più campo libero».
Chi protegge i rispamiatori?
«Le competenti autorità e non è una frase banale. La tutela del risparmio in Italia è garantita dall’articolo 47 della Costituzione che non è stato sottoposto a revisione. È la Repubblica che deve proteggere il risparmio».
Ci dovremo insomma attendere altri raid speculativi sui mercati? Non si rischia di indebolire il sistema finanziario italiano?
«Calma e gesso sono indispensabili. Per raffreddare le emozioni bisogna frenare l’anarcocapitalismo e tornare ai fondamentali dell’economia: si vende solo quello che si ha nelle contrattazioni in Borsa. Io auspico che venga definitivamente accantonata la possibilità delle vendite allo scoperto perché qui è in discussione il capitalismo europeo: perché si è deciso, giustamente, di non farlo più difendere da muraglie autarchiche ma lo si è troppo esposto alle piraterie della speculazione internazionale».
Bloccare le vendite allo scoperto, d’accordo: ma basterà? Cosa si deve fare dopo?
«Bisognerà rivedere la normativa strutturalmente perché faceva parte di una stagione passata, quella delle grandi speranze di fine anni Ottanta quando si sperava che tutto il mondo andasse verso una società e una democrazia aperte. Oggi la società privilegia le scorrerie. Non penso ovviamente a forme di protezionismo nazionale ma serve più equilibrio per chi, come il capitalismo italiano, è nettamente più esposto quando la speculazione internazionale si scatena». (...)
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