«Boccia ha ragione: sgravi e investimenti per rilanciare il Sud»

«Boccia ha ragione: sgravi e investimenti per rilanciare il Sud»
di Francesco Pacifico
Sabato 28 Maggio 2016, 10:53
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Innanzitutto «il Sud non è una riserva indiana». E ancora: «Perciò quello che va bene per il Nord va bene anche per il resto del Paese». Accanto alle riforme, gli investimenti in competitività e al consolidamento di sgravi e decontribuzione, Vincenzo Boccia come ha spiegato nell'intervista concessa al Mattino vuole cambiare il modo di approcciarsi ai problemi del Sud. Un cambio di orizzonte sposato dalla leader della Cisl, Anna Maria Furlan. Il segretario generale di via Po spiega: «Noi pensiamo che sul Mezzogiorno bisogna uscire dai grandi annunci e lavorare tutti insieme a un serio progetto di rilancio degli investimenti pubblici e privati, delle infrastrutture e dei servizi, di sostegno delle vocazioni economiche e delle filiere industriali presenti nel Mezzogiorno. Occorre un patto dove ognuno faccia il suo ruolo». Questo il merito, mentre sul metodo ricorda che «se c'è una cosa che la crisi ci ha insegnato è che o si esce tutti insieme, Sud, Centro, Nord, o non ne esce l'Italia». L'editore Alessandro Laterza, ex vicepresidente di Confindustria con delega al Mezzogiorno, ricorda che «applicando la riforma Pesenti è nato un consiglio delle rappresentanze delle Regioni con l'obiettivo di valorizzare il Mezzogiorno come tema nazionale». Una filosofia necessaria, perché l'area «non deve essere vista più come un recinto di serie b, ma come un soggetto che è interesse di tutti rilanciare. Storicamente sono i territori più deboli a creare più squilibri e generare inefficienze».È da qui che è partito Vincenzo Boccia per ricollocare Confindustria in un momento dove la ripresa langue e il conflitto sociale va superato nel tentativo di modernizzare le regole. Un'operazione complessa, forse rischiosa. Ne è convinto Giorgio La Malfa, ex ministro del Bilancio ed economista che ha vissuto a Napoli e insegnato a Catania. «Al presidente Boccia», dice, «va dato atto che, con orgoglio, rivendica che il Mezzogiorno non sia trattato come un soggetto debole. Il Sud, è il messaggio, ha delle possibilità e può giocarsela sul territorio nazionale. Vero, ma bisogna anche riconoscere il deficit infrastrutturale rispetto al Nord. Serve uno sforzo straordinario, come quello che si verificò tra gli anni Cinquanta e Sessanta con la Cassa del Mezzogiorno.

Determinò che si assottigliasse la distanza tra le due parti del Paese, anche perché gli investimenti furono maggiori al Sud che al Nord».
In quest'ottica la chiave è sempre quella degli investimenti pubblici. La Malfa, liberista cresciuto nel rispetto del mercato alla scuola di Enrico Cuccia, chiama in causa il governo. «Se si vogliono mettere le aree del Sud in grado di competere con il resto del Paese, bisogna metterle in condizioni di farlo. Il governo non lo fa. I piani che il presidente del Consiglio va firmando non sono altro che vecchie cartuscelle tirate fuori dai cassetti e vendute come nuove. Renzi aveva proposto un Masterplan, che io pensavo sarebbe stato un piano per descrivere non tanto le iniziative, quanto le direzione da prendere. Personalmente non ho visto nulla di tutto questo».Boccia ha richiamato le imprese a osare di più. «Piccolo non è bello in sé, ma è solo una fase della vita delle imprese», ha ricordato al Mattino, aggiungendo anche che l'obiettivo comune, soprattutto nelle relazioni industriali, «deve essere quello di migliorare la competitività delle nostre imprese per farle crescere». Concorda Laterza: «Dobbiamo avere attraverso l'innovazione un salto di qualità più generalizzato. Abbiamo poli innovativi come quelli di Bari, Napoli, Caserta, Salerno e Catania, dove le competenze tecniche si fondono con realtà di eccellenza nel campo della formazione (penso, per esempio, ai politecnici dei capoluoghi pugliese e campano). Queste reti vanno replicate».Al Sud desertificazione, isolamento e nanismo si fondono. La Malfa, che studia il problema, sottolinea «che qui c'è pochissima industria, ma ancora di più manca la media impresa: sono 3.200 in tutt'Italia, 250 nell'area. Meno che nella provincia di Treviso, dove tra l'altro funzionano i distretti. Però, quando andiamo a vedere i conti economici, scopriamo che sono simili a quelli delle consorelle del Nord. Il difficile, allora, è farle nascere, creare le condizioni perché s'investa nel Meridione».
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