​«Autonomia differenziata 184 funzioni già trasferibili»: nuovo report della Fondazione Mezzogiorno

Gli studiosi: «C'è il rischio di una Babele normativa»

L'incontro promosso dalla Fondazione Mezzogiorno
L'incontro promosso dalla Fondazione Mezzogiorno
Lunedì 25 Marzo 2024, 20:15 - Ultimo agg. 23:58
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Il disegno di legge sull’Autonomia differenziata è all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera. Dopo averne messo in evidenza le criticità nel report «L’Italia al bivio tra riforma dello Stato e autonomia differenziata», presentato il 4 aprile 2023, la Fondazione Mezzogiorno torna a evidenziare, con spirito propositivo, i rischi della riforma con una nuova analisi su aspetti giuridici, istituzionali, economici e sociali.

A tracciare lo stato dell’arte sono stati oggi nella sede dell’Unione Industriali di Napoli, Antonio D’Amato, Ceo Seda Group, Presidente Fondazione Mezzogiorno, Costanzo Jannotti Pecci, Presidente Unione Industriali Napoli, Massimo Bordignon, direttore Dipartimento Economia e Finanza dell’Università Cattolica di Milano e componente European Fiscal Board, Marco Esposito, saggista e giornalista de Il Mattino, Giuseppe Pisauro, ordinario di Scienza delle Finanze alla Sapienza di Roma, già presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, Sandro Staiano, direttore Dipartimento Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli e presidente Associazione italiana dei Costituzionalisti.

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Il documento presentato dalla Fondazione aggiorna e integra le osservazioni già presentate dalla Fondazione alla luce delle ultime novità, evidenziando i punti critici, indicando possibili soluzioni e cercando di focalizzare l’attenzione sui punti della riforma che investono il sistema produttivo e possono determinare un aggravio di costi e una perdita di competitività del nostro sistema.

La criticità: 184 funzioni immediatamente oggetto di devoluzione

A proposito della delicata questione della definizione dei LEP – Livelli Essenziali delle Prestazioni, lo studio promosso dalla Fondazione mette in evidenza come «in assenza di premesse metodologiche, sia del tutto priva di fondamento dimostrativo la distinzione tra funzioni LEP e funzioni non-LEP, queste ultime suscettibili, per la loro stessa natura, di devoluzione immediata, senza attendere la definizione previa dei LEP (articolo 4, comma 2, ddl 1665)». «Il ddl Calderoli introduce una sorta di corsia preferenziale per il trasferimento di funzioni nell’ambito delle materie cosiddette non-LEP.

Sono materie tutt’altro che residuali, non di rado di peculiare interesse del mondo produttivo».

Il documento elenca le materie con l’indicazione per ciascuna del numero di funzioni potenzialmente interessate al trasferimento, in base alla Ricognizione effettuata nel 2023 dall’Ufficio legislativo del ministro degli Affari regionali e le Autonomie: Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni (16 funzioni), Commercio con l’estero (21 funzioni), Professioni (55 funzioni), Protezione civile (41 funzioni), Previdenza complementare e integrativa (18 funzioni), Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (8 funzioni), Casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale (18 funzioni), Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale (le stesse funzioni della voce precedente), Organizzazione della giustizia di pace (7 funzioni).

La semplice valutazione numerica porta a individuare 184 funzioni potenzialmente trasferibili nell’arco di pochi mesi con la procedura individuata dal ddl Calderoli, una volta che il testo sia licenziato dal Parlamento. Una procedura che, va ricordato, non prevede alcuna valutazione preliminare d’impatto della devoluzione.

«È evidente - mette in evidenza il documento curato da Massimo Bordignon, Marco Esposito, Giuseppe Pisauro e Sandro Staiano - il rischio che l’attribuzione di tutte queste funzioni alle regioni – anche solo ad alcune – possa creare una babele normativa e una moltiplicazione delle burocrazie, a scapito dell’efficienza del sistema complessivo. Tra le attività statali regionalizzabili, ve ne sono numerose che appaiono particolarmente rilevanti per impatto potenziale diretto o diretto sull’organizzazione del sistema produttivo, a causa del moltiplicarsi in ciascun territorio di norme, regolamenti, albi professionali e del frazionamento delle politiche di sviluppo o di sostegno nazionali».

I rischi di un paese a “macchia di Leopardo”

L’articolo 8 del ddl ora prevede una Commissione paritetica che procede «annualmente alla ricognizione dell’allineamento tra i fabbisogni di spesa già definiti e l’andamento del gettito dei tributi compartecipati». Le regioni non partecipano con loro tributi al finanziamento delle funzioni devolute, ma queste sono semplicemente finanziate di anno in anno dallo stato centrale in base alle risorse rese disponibili centralmente dalla legge di bilancio, secondo uno schema così detto top-down. Tuttavia, sebbene sia saltato il rischio delle compartecipazioni fisse (o meglio solo rivedibili al rialzo come sembrava nella prima versione) e il modello che si ha in mente sia quello della sanità, appare un ulteriore aspetto del Paese Arlecchino o a “macchia di leopardo” la complicazione, sicuramente fonte di ulteriore burocrazia e forse anche d'iniquità, di trattative differenziate annuali con le diverse regioni e su un set di materie potenzialmente diverse.

D’Amato: occorre costruire un’Italia competitiva e più coesa

Nelle prossime settimane la Fondazione Mezzogiorno farà partire un’analisi di impatto per valutare le conseguenze e i costi della riforma per il sistema produttivo, a partire dalle imprese del Mezzogiorno.

«In un panorama europeo – ha messo in evidenza il Presidente Antonio D’Amato - in cui vi sarà un forte incremento delle spese per la difesa e un notevole decremento dei fondi coesione per l’Italia a favore dei nuovi Paesi, il bilancio italiano potrà reggere se, e solo se, si riduca il divario del tasso di occupazione tra Sud e resto del Paese. Temiamo che il progetto di autonomia differenziata vada e possa andare in senso totalmente divergente rispetto a tale obiettivo primario e debba, pertanto, essere necessariamente rivisto in un’ottica di riforme complessivo dell’impianto istituzionale del Paese».

«Siamo sempre più convinti – ha concluso il Presidente Antonio D’Amato - che bisogna costruire un’Italia competitiva e solidale, capace di dare il suo contributo alla costruzione di una nuova Europa più forte economicamente, più coesa politicamente e più efficiente istituzionalmente, e in grado di affrontare le pesanti sfide che ha davanti, a cominciare dal valore più importante, quello della pace, messo in pericolo da una guerra che abbiamo in casa e un’altra, fra il Medio Oriente e il Mar Rosso, alle porte di casa».

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