L'arte della fragilità di Leopardi in scena a Napoli con D'Avenia

Alessandro D'Avenia in scena (foto Alessandro Freno)
Alessandro D'Avenia in scena (foto Alessandro Freno)
di Donatella Trotta
Mercoledì 12 Aprile 2017, 12:27 - Ultimo agg. 12:30
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Può il geniale “pensiero poetante” di un intellettuale sconfinatamente colto, lucido e inquieto come Giacomo Leopardi sedurre ancora oggi le nuove generazioni digitali, al di là delle semplificazioni (e banalizzazioni) scolastiche? La risposta è – decisamente - affermativa. Lo può dimostrare lo strabiliante successo del quarto libro di Alessandro D’Avenia, L’arte di essere fragili (Mondadori, pp. 218, euro 19), rimasto da mesi in cima alle classifiche dei best seller e divenuto anche un racconto teatrale («L’arte di essere fragili – come Leopardi può salvarti la vita»: regia di Gabriele Vacis, scenofonie e luci di Roberto Tarasco), che dopo il debutto a Milano e varie tappe nelle maggiori città italiane approderà a Napoli martedì 18 aprile (ore 21, al Teatro Diana in via Luca Giordano 64).

D’Avenia, 40 anni il 2 maggio prossimo, dottore di ricerca in Lettere classiche, non è soltanto uno scrittore e sceneggiatore molto amato dai ragazzi, sin dal suo esordio nel 2010 con il romanzo  Bianca come il latte, rossa come il sangue, seguito da altri due titoli fortunati: i romanzi Cose che nessuno sa e Ciò che inferno non è (ispirato alla lezione di don Pino Puglisi, che l’autore ebbe come docente di religione a Palermo). È anche docente di lettere in un liceo classico. Ruolo che gli offre una chiave privilegiata d’accesso al mondo (e al cuore) dei suoi lettori, secondo una consolidata tradizione che in Italia annovera, tra i nomi più noti e recenti, Domenico Starnone, Marco Lodoli, Eraldo Affinati, Paola Mastrocola e, in Francia, figure come Daniel Pennac. Un ruolo che – se svolto con rigore, empatia e sensibilità - fa la differenza. Perché consente un dialogo concreto, aggiornato e quotidiano con studenti adolescenti e adulti (colleghi, genitori). Perché facilita l’intercettazione di sogni e bisogni, inquietudini e interrogativi, incanti e disincanti. E anche perché permette all’educ/autore feedback continui di letture e interpretazioni di quei classici che, come sottolineava Calvino, non hanno mai finito di dire ciò che hanno da dire, e dunque costituiscono una ricchezza incommensurabile sia per chi li ha letti e amati, sia per chi si appresta a leggerli per la prima volta trovandoli continuamente nuovi, inaspettati e inediti, oltre che capaci di esercitare «un’influenza particolare sia quando si impongono come indimenticabili, sia quando si nascondano nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale».

Proprio ciò che accade con Leopardi: e lo può dimostrare anche il crescente successo di una iniziativa culturale come il Premio letterario leopardiano «La Ginestra», realizzato da dieci anni a Torre del Greco, nella settecentesca Villa Carafa-Ferrigni o delle Ginestre che ospitò il poeta nel suo ultimo anno di vita, tra il 1836 e il 1837. Di qui l’intelligente sfida non soltanto divulgativa di D’Avenia: lanciata non soltanto alla colpevole smemoratezza dell’era della simultaneità (con il conseguente alto costo dell’ignoranza) ma principalmente a un’epoca di “passioni tristi” che l’autore ribalta, nel suo “viaggio” leopardiano, nella passione trasformante per la poesia come folgorazione, (in)canto, linguaggio radicale dell’anima, intreccio di natura e cultura, energia vitale per ascoltare le voci del mondo e del proprio io più profondo: dando così un senso nuovo alla vita, alle sue ombre come alle sue luci.

La full immersion in una selezione di versi tra i più celebri del grande Recanatese è un cammino di ricerca che permette a D’Avenia di riverberare (attualizzandole, per i suoi lettori più giovani) tre tappe cruciali in ogni cammino di formazione: l’inquietudine perturbante dell’adolescenza, le prove da affrontare nella maturità, la conquista della fedeltà a se stessi anche - e soprattutto - nell’accettazione apparentemente inattuale delle proprie fragilità (come recita la seconda Lettera ai Corinzi di Paolo: «quando sono debole, è allora che sono forte»). Ben oltre la filologia, il recupero narrativo del prof scrittore è allora un elogio insieme poetico ed evangelico della vulnerabilità come risorsa, anziché come limite, che guarda al presente con il respiro lungo di un passato che ha tanto da comunicare, e insegnare, all’oggi. Senza nostalgici o sterili ripiegamenti interiori, ma con la stessa forza (profetica) di autodeterminazione esercitata da Leopardi nella sua breve e cagionevole vita.

Una provocazione. Necessaria: non a caso, rilanciata da D’Avenia nel racconto teatrale, “parola in azione” o narr/azione – variamente nutrita dai luoghi e dagli incontri con le persone - che sta portando in giro per l’Italia, gratuitamente, la storia di Giacomo Leopardi e delle età della vita dove ogni tappa è un’arte da imparare. Quella della speranza nell’adolescenza; l’arte di morire nella maturità; l’arte della riparazione della vita nella fragilità; l’arte di rinascere nella morte. Obiettivo, spiegano i promotori del tour teatrale, è rendere gli spettatori partecipi di un itinerario all’altezza dei propri desideri: «Un vero e proprio esercizio di meraviglia – spiega la scheda tecnica dello spettacolo -, quello di chi scopre la poesia incastrata nella vita quotidiana, il sublime nell’ordinario, e risponde all'appello della bellezza cercando di replicarla». Perché «solo la bellezza provoca quei rapimenti che costrinsero Leopardi, che a 21 anni aveva già scritto l’Infinito, a diventare poeta». Trasformando la propria fragilità in canto. E spingendo D’Avenia, quasi due secoli dopo, a trasformare i teatri in classi senza muri, mettendo in scena tra parole e musica, immagini e letture di capolavori la bellezza salvifica della letteratura, l’utilità del’inutile, la perfezione dell’imperfetto.
 
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