Sentenza a Salerno: il principe di Belmonte perde il castello di Punta Licosa

Sentenza a Salerno: il principe di Belmonte perde il castello di Punta Licosa
di Petronilla Carillo
Martedì 11 Marzo 2014, 00:16 - Ultimo agg. 09:24
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SALERNO - Il castello di Licosa torna alla famiglia Boroli, fondatrice della De Agostini Novara. quanto stabilito dal giudice della seconda sezione civile di Salerno che ha accertato la propriet dei beni rimasti in contestazione alla Famab, la societ della famiglia Boroli, difesa dagli avvocati Roberto Rosapepe di Salerno, Alberto Toffoletto di Milano e Marco Selvaggi di Roma. questo almeno l’ultimo atto di una battaglia tra principi e dinastie economiche combattuta non a colpi di fioretto ma di carta bollata. Una battaglia che vede la dinastia di imprenditori diventare proprietari del solo castello mentre il resto della tenuta (cinquecento ettari circa di macchia mediterranea, una cappella e alcuni casolari abbandonati) restano tra i beni del principe di Belmonte. E tutto ciò in virtù di un vecchio procedimento, sospeso e poi riattivato, presso il tribunale di Salerno che ha riconosciuto alla famiglia Boroli la proprietà per usucapione ventennale.

Al centro della vicenda legale, avviata nel lontano 1970, i contratti di compravendita (che risalivano al 1958) tra il padre del principe Angelo di Belmonte e numerosi acquirenti, tra i quali la società «Licosa Spa», della famiglia Boroli. Proprio attraverso un passaggio di compravendita tra società dello stesso gruppo, la Licosa vendette poi la tenuta alla Famab.

Le vendite avvenute negli anni Sessanta, dunque, riguardavano le tenute immobiliari ereditate da Gioacchino Granito di Belmonte, in qualità di semplice usufruttuario. Il suo bisnonno, Gioacchino II di Belmonteaveva disposto che i suoi beni finissero direttamente al pronipote. Beni la cui nuda proprietà spettava al figlio Angelo, all’epoca dei fatti ancora minorenne. Una vendita che il principe Angelo non ha gradito e ha impugnato appena gli è stato possibile. Era il 1970 quando l’erede della dinastia decide di avviare un’azione giudiziara per riappropriarsi della tenuta, contestando i contratti di vendita messi in atto tra suo padre e i Boroli. Una storia, a suon di carte bollate, che si è prolungata negli anni con una serie di pronunciamenti della magistratura. Nel 2007 la parola spettò alla Corte di Appello di Bologna che respinse la richiesta della famiglia Boroli di sospendere una sentenza che ordinava la restituzione dei beni al principe di Belmonte. La Corte di Cassazione, alla quale poi gli acquirenti si sono rivolti, si era già pronunciata per annullare precedenti decisioni assunte dalle Corti di Appello di Salerno, Roma, Firenze e Bologna. Fino a novembre 2011 quando, con sentenza definitiva, sempre la Cassazione ha confermato la nullità dei contratti stipulati da Gioacchino Granito di Belmonte in considerazione della «falsa prospettazione dei fatti contenuta nell’istanza per l’autorizzazione alla prima di esse e della falsa valutazione dei fatti riportata nella perizia estimativa allegata all’istanza stessa».

Una sentenza che, a quanto pare, non ha chiuso la vicenda. La Famab, infatti, aveva provveduto a riassumere un vecchio giudizio, sospeso nel 1984 in attesa dell’esito della Cassazione, dinanzi al tribunale di Salerno e che aveva quale oggetto proprio la proprietà del castello. Secondo il giudice di Salerno, difatti, la Famab è la legittima proprietaria dei beni in questione in quanto ha acquisito questi titoli per usucapione ventennale.

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