Boccia avvisa il governo: «Sarà una stagione di confronto serrato. Nel Paese scontro tra vecchia e nuova cultura»

Boccia avvisa il governo: «Sarà una stagione di confronto serrato. Nel Paese scontro tra vecchia e nuova cultura»
di Marco Perillo
Lunedì 27 Marzo 2017, 14:33 - Ultimo agg. 21:02
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Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, è intervenuto al Forum 'S.U.D. 4.0' organizzato a Napoli da UniCredit, nella sede della Federico II in via Partenope. Il numero uno degli industriali è stato intervistato dal direttore del Mattino, Alessandro Barbano, e dal direttore del Corriere del Mezzogiorno, Enzo D'Errico, insieme con Giovanni Ronca, co-responsabile delle attività commercial-banking per l'Italia di UniCredit. 
 


Presidente Boccia, il passaggio da un'industria tradizionale a un'industria 4.0 è un processo umano e culturale, oltre che economico. Soprattutto al Sud, come facciamo a governarlo politicamente?

Occorre avere una visione lunga e larga. Il passaggio al 4.0 implica una nuova idea di società che includa e non escluda, a partire dal nostro Mezzogiorno. Il ritorno a un Paese neo-corporativo non ci porta a una visione lunga. Occorre l'inverso. Non avendo uno strumento di svalutazione, la produttività è diventata un fattore essenziale. E la produttività non la determina un soggetto solo. Lo scontro nel Paese è tra la vecchia cultura e nuova cultura, tra la società aperta e società chiusa, tra società corporativa e società aperta. Chi prevarrà? Speriamo che prevalga il 4.0 perché se torniamo 'ai migliori anni della nostra vita' la partita è già persa prima di cominciare ma noi siamo qui a ricordare che non arretriamo. Il ritorno al proporzionale, a un Paese con forze neoconsociative e neocorporative non ci porta a una visione lunga, non ci porta alla società 4.0. La società 4.0 ha bisogno di corpi intermedi che abbiano una visione lunga dell'interesse del Paese e non corporativa. Cerchiamo di costruire grande inclusioni nel mondo del lavoro, azzerando il cuneo fiscale per i neo assunti. Oggi al Sud sta accandendo che le aziende più avanti sono fin troppo avanti rispetto a quelle che stanno indietro. Al Mezzogiorno serve un'unica politica economica nazionale. Se facciamo politiche diverse, come quelle delle agevolazioni, non si va lontano. Oggi bisogna semplificare e convergere sulla politica nazionale. Richiedere scelte diverse quando c’era la Lira e la politica monetaria era più facile, non è più possibile. Ora c’è unica valuta e la produttività diventa essenziale. Lo scontro è tra la vecchia e la nuova cultura, tra una società chiusa e una aperta.

Intanto il piano 4.0 del Governo non riesce per ora a decollare a causa del finanziamento degli investimenti. 

C'è la convinzione che i super ammortamenti risolvano tutti i problemi e diventino un acceleratore per il Mezzogiorno. Oggi chi investe nel Mezzogiorno ha un beneficio fiscale del 40 per cento per le piccole imprese e 30 per le altre. Ma intanto il mondo cambia: le imprese che sono la punta avanzata del Paese vediamo che negli anni hanno investito molto in attività intangibili. Prima s'investiva in capannoni e macchinari, oggi si punta a formazione, ricerca, sviluppo, vendita online. E' questa la forza delle imprese, capace di diventare opportunità. Gli intangibili, però, sono poco valutati, perché non comportano garanzie. Oggi si apre uno scenario diverso e occorre una valutazione strategica. In una società 4.0. da soli non ce la faremo. Occorre una cultura aperta, il metodo è la collaborazione per la competitività e non il conflitto. Avere maggiori salari e maggiore produttività è possibile, la Germania lo insegna. Chi vive di conflitto si sentirà presto disoccupato.

In questi giorni il Governo ha ipotizzato un'assicurazione a carico delle imprese per finanziare i giovani disoccupati. Che ne pensa?

E' sbagliato. In momento di emergenza e di transizione come quello attuale non si può caricare di un handicap l’industria italiana. Per motivi politici si bloccano le aziende? Non è giusto. Pensare di mettere altre tasse sull’impresa nel momento di quarta rivoluzione industriale è sbagliato. Oggi c'è un 20% di aziende che va bene, un altro 20% molto male e un 60%  che è una terra di mezzo. Non diciamo che il 60% va tutelato, non vogliamo assistenza, ma diciamo che bisogna prestare attenzione perchè questa deriva in cui, per non fare scontento nessuno andiamo a caricare su altri una tassazione, è un errore. Perchè poi la crescita non arriva e il popolo si incazza. Se qui per motivi elettoralistici si vuole portare alla paralisi una parte del sistema industriale italiano non solo non lo consentiremo ma deve finire questa fase in cui quando alla fine c'è qualcosa da prendere lo si prende dalle aziende perchè tanto non votano ed è la cosa più semplice. Bisogna invece ragionare in termini di una visione lunga. Se gli effetti sull’economia reale sono negativi e danneggiano la competitività delle imprese è solo un danno. Col Governo sarà una stagione di confronto serrato.
 
 

Con una classe politica che ha visioni brevi, qual è la possibilità concreta per il Sud di farcela davvero?

La questione Mezzogiorno, secondo me, deve essere affrontata da tre punti di vista. Primo: alzare il livello di visione larga e considerare aspetti posistivi e strumenti di agevolazione. Secondo: inserire il Sud in una visione geo-economica del Paese tra Europa e Mediterraneo, quindi non considerarlo solo come Sud Europa. Quindi servono le infrastrutture necessarie per collegare il Mezzogiorno al resto del mondo. Occorre, inoltre, un patto per le fabbriche; un'azione industriale in grado di accogliere i principali investitori. Terzo: la contaminazione. C'è bisogno che gli imprenditori vadano nelle università, che le banche vadano nelle imprese. Bisogna guardarsi in faccia e remare insieme.

L'Unione europea ha 60 anni. Quale Paese sarà il più bravo nell'industria 4.0?

La Francia vuole diventare il secondo paese industriale d’Europa e gli stessi inglesi vogliono tornare a fare industria come un tempo. L’Italia è avanti: siamo il secondo Paese industriale d'Europa. Il primo è la Germania ma noi dobbiamo cambiare anche in chiave europea l’approccio alla politica economica. Ci sono paesi non amici dell’industria; immaginano che tu stia cercando, attraverso l'industria, politiche di assistenza e scambio. Oggi occorreuna  politica economica sulla competitività. L'Europa è il mercato più forte del mondo. La crescita è pre-condizione per combattere diseguaglianza e povertà. È il fine, non il mezzo. Non si può rispondere a Trump con politiche neo-protezionistiche. Chi attacca l'Europa ha capito che il nostro è il mercato più ricco. E c’è chi vuole venire a vendere qui al posto nostro. Difendendo il mercato europeo abbiamo possibilità di vendere negli altri posti del mondo. Avere un'Europa a diversa intensità forse è il caso.






 

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