Da Bottura a Joan Roca, il ghota dell'alta cucina si ritrova a Barcellona

Bottura (Ansa)
Bottura (Ansa)
di ​Paola Del Vecchio
Mercoledì 28 Giugno 2017, 16:14 - Ultimo agg. 30 Giugno, 19:13
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BARCELLONA - Food forward, la gastronomia che guarda al futuro è qui, a Barcellona. E va detto subito: non è mai stata in mani migliori. Parola di chef, anzi dei cinque migliori del mondo, Ferran Adriá, René Redzepi, Massimo Bottura, Joan Roca e Daniel Humm. Una summa di visioni appassionate, innovative e sostenibili, riunite nell’Antigua Fabrica Estrella Damm, per parlare delle loro personale percezione del futuro del cibo, nell'incontro organizzato dalla San Pellegrino in occasione della celebrazione dei 15 anni del World’s Best Restaurants. Lo chef dell’Osteria Francescana di Modena, superato quest’anno sulla cima del mondo da Eleven Madison Park di Daniel Humm, è il primo ad andare in scena.

 

 


Sulla maglietta bianca la scritta ‘Future’, ma in lettere greche, che è la sintesi della sua filosofia: «Non c’è futuro senza riflettere sul passato», dice il figlio di un imprenditore emiliano, che ha fatto della creatività e della lotta agli sprechi il segreto della sua ricetta. Ha conquistato la terza Stella Michelin cucinando croste bollite di parmigiano.

Davanti alla platea di 250 entusiasti ospiti venuti da tutto il mondo, Bottura parte dalla «storia incredibile che mi raccontava mia madre» dei tuberi di tartufo, che sulle colline vicino Bologna da piccolo scambiava per patate. Per arrivare a quella della “patata-Bottura in attesa di diventare un tartufo”, una delle ricette che lo hanno reso celebre, con il tubero tornato a essere patata, anche se la migliore del mondo, «in una cura di umiltà». Tutto per dire «dell’importanza della cultura come strumento di consapevolezza». E di questa come base «per assumersi responsabilità», come lui ha fatto con l’idea del recupero degli avanzi.

Era nata dall’imperativo ‘Nutrire il pianeta’ della Expo milanese e da allora lo chef modenese ha creato il Refettorio ambrosiano e quello di Rio de Janeiro, a favore dei poveri. Un progetto culturale «con un enorme potenziale di cambio, che recupera l’etica della gastronomia». E in funzione di obiettivi tangibili: «Lottare contro gli sprechi alimentari; insegnare a come trasformarli in cucina in piatti succulenti; sperimentare allo stesso tempo il bello che non va mai disgiunto dal buono; creare luoghi di inclusione», sintetizza. «Noi vogliamo abbattere i muri», enfatizza lo chef dell’Osteria, che definisce una bottega rinascimentale del XXI secolo. «Non pensavano di poter essere la voce del cambio, invece possiamo agire tutti assieme – esorta Bottura i colleghi presenti - perché gli 860 milioni di persone malnutrite stimati nel 2014 si dimezzino a 400 milioni nel 2050».

Ferran Adriá non è nella lista Best Restaurants non avendo più da un lustro il suo El Bulli. Ma se gli chiedi del futuro del ristorante col quale ha vinto nel 2002 per 5 anni di seguito il premio del n. 1 ti risponde: «Futuro? No, presente. Nel nostro El Bulli Lab, a Barcellona, lavora un team multidisciplinare che è andato crescendo in questi anni e si avvicina alle 100 persone. E per la fine del 2018 saranno terminati i lavori di El Bulli 1846, nello spazio del vecchio ristorante, a Cala Montjoy, dove trasferiremo la Fondazione».

Con un progetto che ambizioso è dire poco: «Stiamo facendo un lavoro di ricerca di base, per lanciare poi a poco a poco i prodotti. Si tratta di ordinare la conoscenza nella ristorazione gastronomica. Proporremo edizioni on line e su carta, abbiamo in cantiere 25 libri da 500 pagine l’uno. E’ un lavoro enciclopedico, per colmare il vuoto esistente. Noi – osserva - siamo ristoratori gastronomici, non possiamo guardare al futuro senza conoscere il passato».

Adriá enumero uno a uno tutti i cambiamenti che hanno rivoluzionato il settore negli ultimi decenni: «La preoccupazione per la salute e l’alimentazione; la rivoluzione informatica e la globalizzazione della passione per la culinaria, con programmi come Master Chef; il cambio del concetto di gourmet, prima riservato a una élite, oggi democratizzato e accessibile per milioni di persone; l’arrivo nell’olimpo dell’alta cucina delle donne chef e l’informalità che si è stabilità anche nei ristoranti a 3 stelle Michelin». Lo chef che ha portato la cucina d’avanguardia spagnola nel mondo ha smesso il cappello bianco e indossato gli abiti del professore al Basque Culinary Center, la prima Università di gastronomia nei Paesi Baschi. Presenta esposizioni e tiene conferenze in tutto il mondo. Ma a riaprire il ristorante non ci pensa nemmeno: «Ne ho avuto abbastanza, quella è una storia chiusa», confessa.

Dalla trasmissione della conoscenza alle future generazioni al ritorno alle origini: Daniel Humm ricorda perfettamente quando decise di diventare cuoco: «Avevo 10 anni e mio padre mi portò a mangiare al ristorante di Fredy Girardet, uno dei migliori del mondo. Eravamo ad un tavolo in cucina e potevo sentire l’energia dello chef; mi trasmise la passione per questa professione». Del sua Eleven Madison Park, che in soli 7 anni ha ottenuto la palma di n. 1 al mondo, - e che si prepara a bissare a Los Angeles - parla sempre al plurale, «perché il nostro è un lavoro di equipe», assicura. E difatti è affiancato da Will Guidara, suo socio in ‘Make it Nice’. «È la nostra essenza e non può essere dimenticata col successo. Noi vogliamo che i commensali sperimentino con noi i loro gusti e si sentano trattati bene, con grande cortesia». Ritornare alle radici della cultura della ristorazione è la sfida che Humm rinnova per il futuro: «La ragione del nostro successo è la buona gastronomia: un piatto deve essere delizioso e deve essere accompagnato da una grande cortesia nel servizio», conclude..

Per Juan Roca, dei tre fratelli artefici de El Celler de Can Roca, che ha vinto il Best Restaurant dal 2013 al 2015, la famiglia resta il fulcro del progetto gastronomico futuro: «Siamo riusciti a realizzare un’aspirazione che è fare felice la gente con quello che ci rende felici». Negli ultimi 3 anni, hanno viaggiato - e cucinato - in 18 paesi diversi, portandosi dietro «sempre qualcosa sulla pelle, influenze, tecniche, prodotti straordinari».

Tanti i progetti in corso, come un corso di ricerca gastronomica on-line aperto a 30mila studenti, l’apertura di una fabbrica di cioccolato peruviano a Gerona o la creazione di un centro enogastronomico e per lo sviluppo sostenibile in Africa. Ma, soprattutto, un’attitudine etica: «Abbiamo creato due team al Can Roca, con due responsabili di cucina, che si alternano la mattina e la sera. Vogliamo dare ai giovani che lavorano con noi l’opportunità di poter compaginare lavoro e vita privata e non essere costretti a faticare sedici ore di seguito, come è toccato a noi. Perché la cucina è fatta di emozione e lo stato d’animo sui sentimenti». Un esempio? «Stiamo lavorando per mettere in rapporto con un dolce l’esperienza di gioia di un gol di Leo Messi; o anche come trasferire a una pietanza l’aroma di terra bagnata in genere associato con la nostalgia…».

Nella nuova frontiera alimentare, non solo come migliorare il rapporto col cibo delle persone che soffrono. Ma, soprattutto, per René Redzepi, patron del Norma, una relazione stretta, diretta ed etica con la natura, per la quale ha rotto anche l’ultimo tabù, quello di cucinare insetti.
Il figlio di una famiglia macedone emigrata in Danimarca sta promuovendo in vari Paesi progetti come ‘Wild Mad’, «per insegnare ai bambini a diventare esploratori, identificare le specie di piante, conosciute e non , raccoglierle, cucinarle, condividere gli alimenti. E’ questo il futuro– assicura Redzepi – Creare un sistema di valori che vincolino alla natura i bambini che, una volta adulti, la proteggeranno».

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