Salento, guida i ristoranti
della vostra estate

Salento, guida i ristoranti della vostra estate
di Antonio MUCI
Giovedì 30 Giugno 2016, 22:27 - Ultimo agg. 17 Luglio, 12:16
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Destinazione Salento. Dal Capo di Leuca ci fermeremo alle colline di Ostuni, di Ceglie e di Cisternino: in questo perimetro ci sarà chi si sente poco salentino, al di fuori ci sarà qualcuno che si sente escluso. Voi fate finta di nulla e seguiteci in questo viaggio perché dal Salento non si passa per caso, bisogna venirci di proposito: in aereo, in treno o in auto. Nell'antichità gli spostamenti lunghi si facevano via mare ed il Salento era un posto di passaggio privilegiato per tutti i traffici con la Grecia e con l'Oriente. Il Canale è stretto: l'Albania e la Grecia sono più vicine ad Otranto di quanto non sia Bari. Quando la navigazione era prevalentemente costiera il Salento era meta obbligata per le imbarcazioni che percorrevano il Mediterraneo tra Est ed Ovest. Del resto, è l'ultima propaggine dell'Europa verso l'Africa. Vittorio Bodini, ispanista e poeta salentino, diceva che il Salento si trova ad un'ora di cammello dal Cairo. Erano tempi in cui i forestieri (non stranieri) non erano un problema, ma una risorsa. Portavano i racconti di altri territori e di altre civiltà, di altri modi di vivere, di altre culture.

Oggi si parla tanto, in cucina, di fusion: qui la contaminazione delle ricette si è stratificata nei secoli. Molte pietanze ricordano l'Africa e l'Oriente. Una per tutte, la scapece gallipolina, che potrete gustare in una delle tante sagre estive. Pesciolini fritti (zerri, o boghe, o latterini) sistemati a strati in grossi mastelli di castagno coperti di mollica di pane raffermo e irrorati con aceto bianco in cui sono stati sciolti stimmi di zafferano. Oggi la scapece viene classificata come cibo di strada; nell'antichità, ha salvato tante popolazioni costiere da guerre e carestie. Ogni ricetta nasce da motivi economici: a queste latitudini la conservazione del cibo è stata sempre praticata con l'aceto. Quei mastelli pieni di pesciolini sono stati per secoli una sorta di frigorifero del Mediterraneo.

Per accompagnare la scapece, come tutti gli altri alimenti della dieta mediterranea, il Salento propone il vino rosato, che molti contadini ancora chiamano lacrima, ricordo dell'antica tecnica romana che prevedeva la percolazione dai cesti pieni d'uva di nettare prezioso, destinato esclusivamente ai signori. Oggi, per fortuna, è alla portata di tutti ed ha raggiunto livelli qualitativi medi molto interessanti: merito dell'affinamento delle tecniche di lavorazione, ma anche del Negroamaro, la cultivar con cui questo vino viene prevalentemente prodotto. Tanta acidità e tanti antociani a cui si aggiunge la passione di una notte del cantiniere, perché non più di una notte dura il contatto del mosto con le bucce. La quantità di Rosato che si ricava non supera i 30 litri per quintale: un vino pregiato, dunque, che ben rappresenta il Salento. Un consiglio: bevetelo fresco, ma non ghiacciato; godrete così a pieno dei profumi e del sapore di questo vino straordinario.

Con il Rosato potete accompagnare ogni cibo, salumi inclusi. Perché il Salento, anche nella delimitazione che ne abbiamo fatto, produce insaccati di pregio: a Cisternino, sulle colline brindisine, si può gustare un ottimo capocollo di Martina Franca, presidio Slow Food, elevato (direbbero i produttori di grappa) proprio nel vino. Il Negroamaro è ottimo anche nella vinificazione in Rosso, da destinare a piatti più corposi, dalla carne ai formaggi stagionati. L'enologo Severino Garofano, irpino di nascita e salentino d'adozione, ci ha insegnato che dà il meglio di sé con una leggera surmaturazione. Tre bottiglie possono rappresentare un «ricordo» importante di questa terra: «Graticciaia» della cantina Vallone, «Patriglione» di Taurino, e «Le Braci» di Severino Garofano Vigneti e Cantine.
Da Cisternino a Ceglie il passo è breve ed una puntata nella patria dei fornelli vi riconcilierà con la carne arrostita, visto che è il tempo dei castrati. Vi stupirà la densità dei ristoranti e delle trattorie: Ceglie Messapica, città d'arte terra della gastronomia, si legge nei cartelli all'ingresso del paese e si tratta di una gastronomia che ha raggiunto livelli di eccellenza, cresciuta sull'intuizione di Angelo Ricci di fornire una ristorazione basata su prodotti tradizionali di grande qualità. Oggi il fornello da Ricci, gestito da Antonella e Rossella, ha la stella Michelin ed altri locali, come Cibus di Lillino Silibello e Botrus di Francesco Nacci, trainano decine di altri locali al rialzo sulla strada della qualità.

Un percorso che ha emuli importanti a Carovigno, già sotto l'arco, stella Michelin e Casale Ferrovia, Chiocciola Slow Food, e ad Ostuni, La sommità, stella Michelin. E se siete vegetariani, Gino Ligorio, ristorante Da Gino a Ceglie, vi farà un intero menù con le erbe selvatiche raccolte nei suoi campi.

Ma il Salento è principalmente pianura e mare, anzi mari: Adriatico e Ionio. Le triglie migliori? A Torre Guaceto (Adriatico). No, a Porto Cesareo (Ionio). I ricci migliori? A Castro e a San Foca (Adriatico). No, a Gallipoli (Ionio). A proposito di ricci, vi consigliamo di non perdervi le linguine che prepara Daniela Montinaro, chef de Le Macare ad Alezio. A Porto Cesareo, ristorante da Cosimino, potrete gustare invece la quatara, zuppa rossa in cui ci sono almeno una decina di varietà di pesci ed anche il paguro Bernardo. La preparavano i pescatori a bordo delle barche, usando i pesci chiattisciati, intaccati dalle pulci di mare.

Per chi ama la ristorazione ruspante consigliamo un salto alle Conchiglie, tra le marine di Nardò e Gallipoli. Scapricciatiello e Maruzzella si chiamano i due locali adiacenti: ricci, cozze di mare crude e provola piccante, latterini, zerri e polpi fritti. I tavoli sono sotto un'impalcatura aperta sistemata a ridosso del mare. Tutto ciò che viene dal mare finisce nei piatti, perfino l'anemone marino, dai mille tentacoli urticanti, che spesso provocano dolorose piaghe ai bagnanti imprudenti. Se siete fortunati potrete trovarli a Gallipoli nel menù di due ristoranti del centro storico: Grotta marinara e Osteria del vico.

Dal mare alla terra, da non perdere un assaggio di patata Siglinde di Galatina, unica patata Dop italiana: in insalata, con un filo di olio extravergine d'oliva, altra eccellenza da non perdere, o preparata come focaccia rustica con tanta cipolla, capperi (speciali quelli di Racale) pomodori, olive nere e una punta di alice sott'olio, oppure, quelle piccoline saltate in padella con la buccia e condite con il vincotto di Primitivo, per secoli unico dolcificante per la stragrande maggioranza dei salentini (il miele era per i signori).
Oggi il Salento può farsi ricordare anche per i dolci. Tanti i posti dove fermarsi. Ne indichiamo uno soltanto: la pasticceria Natale, a Lecce. D'obbligo il pasticciotto, e poi i bignè ripieni in tutte le salse, anzi le creme, e le piccole mousse: tanti sapori e tanti colori, perché anche l'occhio vuole la sua parte. Ferzan Ozpetek, nel film Mine vaganti, immagina il suicidio della vecchia nonna diabetica con una scorpacciata di questi dolci: un gesto estremo di liberazione totale, e di piacere. Evitate di arrivare a tanto e poi trasferitevi al bar Avio, 20 metri di distanza: fatevi servire un caffè in ghiaccio con il latte di mandorla.
Nel Salento terra e mare si incontrano ovunque e trovano l'apoteosi a Tricase nel ristorante Lemì. Ippazio Turco, lo chef, vi servirà un filetto di triglia, o di scorfano, sopra una pietra rovente su cui ha sistemato timo, origano, mortella ed altre erbe selvatiche della macchia salentina. Se chiudete gli occhi potrete immaginare voi stessi in una preistoria felice, lontani dai rumori, dallo stress, e dai cibi omologati.
Il miglior modo per ricordare un posto magico, il Salento, che è molto più che «lu sule, lu mare, lu ientu».
 
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