La minestra maritata: ecco la ricetta

La minestra maritata di Umberto
La minestra maritata di Umberto
di Tommaso Esposito
Sabato 19 Dicembre 2015, 23:14 - Ultimo agg. 20 Dicembre, 13:12
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Ecco, diciamocelo con franchezza: la Menesta Mmaretata, insieme alla Genovesa e al Rraù è un piatto esemplare della cucina campana. Ed è una pietanza che senza dubbio può essere definita di importanza storica sia per la sua collocazione sulla tavola napoletana come piatto tipico delle feste natalizie, e con qualche variante meno grassa anche del periodo pasquale, sia per le sue origini narrate e cantate finanche da scrittori e poeti a partire dal 1500.
Cominciamo dal nome. Tutti sappiamo che la cucina napoletana è stata per lungo tempo, prima cioè che si diffondesse la cultura dei maccheroni, caratterizzata dalla presenza dei prodotti degli orti, dalle verdure generalmente definite come torze e foglie. Non a caso i Napoletani era soprannominati i Mangiafoglia. Di zuppe a base di cavolfiori, fagioli, cocozze ce ne sono raccolte un'infinità nei ricettari regionali. In genere si tratta veri e propri minestroni oppure di pancotti o panecuotti.

La caratteristica di questa minestra invece è che le torze e le foglie si sposano, cioè si mmaritano, per dirla in dialetto, con le carni. In verità è uno sposalizio abbastanza variegato visto che secondo la ricetta più antica, la stessa che oggi si tramanda, le verdure necessarie per fare un buon Pignato Grasso, questo è l'altro nome della pietanza, devono essere almeno sette diverse e le carni, tra muscoli e frattaglie, molte di più. Vediamo un po'. Sono necessari i broccoli cosiddetti da menesta e quelli più scuri e piccoli o menestella poi la cicoria selvatica, le scarole cecoregne, la borragine, la verza e le torzelle o torzaricce. Di queste ultime, forse la più famosa foglia nella cultura agricola del passato, il buon Nicolò Capasso, poeta seicentesco, ne voleva fare ciorlanne, cioè ghirlande per cingere la testa dei suoi avversari di rima.

Le carni invece sono quelle di maiale, di cui si scegono le tracchie, le cotiche, le orecchie e il mascariello, cioè il guanciale, freschi. Il pollo si predilige quasi intero, ma tranciato a pezzi. Del manzo si prende la coperta di costata. Poi sono necessari un osso di prosciutto non del tutto scarnito; qualche capeto di salsiccia di polmone, che oggi è fatta solo con voccolaro peperoncino e semi di finocchietto. Infine non deve mancare la 'nnoglia cioè una sorta di salame nel cui budello sono raccolti tranci di ventre e stomaco del porco aromatizzati con spatella forte, aglio e ancora semi di finocchietto.

Ovviamente la procedura richiede pazienza e tempo. Le foglie e le torze si cuociono separatamente e poi si uniscono al brodo ottenuto dalla cottura prolungata delle carni e delle frattaglie. Qualcuno ci aggiunge anche delle scorze di caciocavallo, così per darci, come se non bastasse, un po' di forza e sapidità. Naturalmente questa ricetta antica oggi viene modificata e alleggerita sia nella cucina casalinga che in quella dei ristoranti o delle trattorie che in questi giorni di festa la ripropongono nel menù.

Tuttavia il sapore della Menesta Mmaretata rimane inconfondibile, grazie soprattutto alla varietà degli ortaggi utilizzati. In verità c'è pure un'alternativa al Pignato Grasso. Ed è la Menestella de Natale. Non sono necessarie tutte le verdure. Bastano cicoria e scarolelle. Poi un po' di carne di annecchia e qualche cotica. Il caciocavallo va bene e qualche nonna ci aggiungeva pure le uova strapazzate. Così per farne una stracciatella da gustare e restare in pista prima del pranzo del giorno di natale. Mai la notte della Vigilia.
 
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