«Carmnella» pizzeria dell'anno
quando il futuro inizia nel 1892

Vincenzo e Lucia con lo staff e il premio del Mattino
Vincenzo e Lucia con lo staff e il premio del Mattino
di Luciano Pignataro
Martedì 29 Novembre 2016, 20:42
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Quando domenica a Gustus Vincenzo Esposito ha ricevuto il piatto di ceramica firmato dal grande artigiano vietrese Santoriello non ha retto all'emozione e ha pianto. In queste lacrime c'è il motivo del premio ricevuto dalla Guida Mangia&Bevi 2017 del Mattino: «Pizzeria dell'anno». Vincenzo e la moglie Lucia sono stati scelti «Per aver rinnovato la tradizione familiare esaltandola senza incedere in mode passeggere mantenendo costante l'attenzione sulla qualità».
Viene da lontano il futuro della pizzeria precisamente dal 1892 quando Carmnella aprì la propria trattoria al «buvero» con il sostegno del marito Pasquale Russo, famoso baccalaiuolo di Porta Capuana. Il figlio Gennaro sposta il locale nel quartiere Case Nuove, costruito a ridosso della stazione Garibaldi nell'ambito del Risanamento che a cavallo dei due secoli ha ridisegnato il volto del centro cittadino. Dal matrimonio di Gennaro con Rita Crispino nasce Carmela, la nuova Carmnella, che sposa Salvatore Esposito, bravissimo pizzaiolo del Trianon per mezzo secolo.
Una delle tante storie gastronomiche di passione e sacrifici raccolte nel volume Guida alle Trattorie di Napoli di Giulia Cannada Bartoli (Edizioni dell'Ippogrifo) che costruisce la base della cucina napoletana dove si rinnovano i piatti della tradizione del quotidiano in una ricchezza senza eguali in altre città. Vincenzo e Lucia Esposito mantengono lo stile del locale in via Marino dando però una importanza crescente alla pizza, prima considerata solo una delle offerte possibili.
Non mancano pizze creative, ma lo stile di Vincenzo è rigorosamente tradizionale, dalla margherita alla marinara eseguite alla perfezione, sino alla pizza Monaciello, uno dei cavalli di battaglia del locale, un ripieno al forno con ricotta di fuscella, provola di Vico Equense, cicoli, pomodoro, Parmigiano Reggiano e pepe. Altro che menate con il tartufo bianco! Per capire la complessità di Napoli, incomprensibile e urticante per le multinazionali del cibo impegnate a spingere sull'omologazione, c'è la curiosità sull'uso del pomodoro in questa preparazione, assente invece nei locali a destra della stazione Garibaldi. Anche Enzo Piccirillo della vicina Masardona, ad esempio, lo usa.
Ma quali sono le caratteristiche che ci hanno spinto a dare questo riconoscimento? La prima, più importante, è che ogni santo giorno Vincenzo Esposito è lì, vicino al suo forno, impegnato a preparare le sue pizze per i clienti che conosce uno ad uno. Su Facebook è presente fuori orario di lavoro e con semplicità, senza cercare colpi ad effetti.
Il secondo motivo è la fedeltà alle farine tradizionali napoletane, lontano dalle scorciatoie mediatiche dell'integrale o peggio ancora buone per chi usa forni elettrici a maniglia perché propone focacce e non pizze.
Il terzo elemento che ha giocato a suo favore è stata la capacità di mantenere ben solide le sue radici popolari riuscendo però ad aggiornarsi in piena continuità con il passato. Nessuno choc per i clienti di sempre, grande sorpresa per i giovani che provano la sua pizza per la prima volta.
Questa anima popolare della città, autentica, è la grande base che spinge in avanti il movimento della pizza napoletana in Italia e nel mondo. Perché ad un certo punto la fuffa passa come le mode, e resta chi prende le pizze e le mette nel forno in modo tale che non ci sia differenza, se non quella determinata dal tasso di umidità durante la lievitazione, da un giorno all'altro.
Una magnifica storia napoletana insomma.
 
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