L'ultima svolta: pizzaioli in cucina e chef al forno

I fratelli Cerea del tristellato Vittorio a Brusaporto e i Fratelli Salvo
I fratelli Cerea del tristellato Vittorio a Brusaporto e i Fratelli Salvo
di Luciano Pignataro
Domenica 6 Marzo 2016, 07:44 - Ultimo agg. 09:32
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Carlo Cracco non ha dubbi: «Per me la strada della pizza deve essere la stessa del sushi. In Giappone sono riusciti anche a conquistare le Stelle Michelin, è venuto il momento che questo riconoscimento arrivi anche in Italia dove ci sono locali molto importanti dal punto di vista gastronomico».Non si tratta solo della scuola veneta di Simone Padoan e Renato Bosco: ormai negli ultimi anni il connubio tra pizza e cucina è sempre più intimo e stretto ovunque.

Gennaro Esposito, che per primo ha sdoganato la pizza nell'alta ristorazione durante Festa a Vico, si tratta di un processo naturale: «Quando si lavora con la qualità ci si incrocia in modo naturale perché per noi sono importanti le tecniche di cottura al forno mentre per i pizzaioli è necessario conoscere l'uso delle materie prime perché se margherita e marinara restano sempre le pizze più importanti è anche vero che il topping sta acquisendo un valore sempre più importante». Proprio questa corsa alla qualità ha spostato molto pubblico verso le pizzerie dove è possibile soddisfare curiosità gastronomiche e al tempo stesso contenere la spesa in questi anni di crisi. Inoltre restano un luogo informale e veloce, al passo con i tempi.

Chi ha molto lavorato con i pizzaioli in questi ultimi tempi è Nino Di Costanzo, ex bistellato dell'Hotel Manzi di Ischia, oggi in giro per il mondo con Kiton ad organizzare cene. «A volte basta poco per cambiare il risultato, per esempio mettere i gamberi crudi dopo il forno e non prima, giocare di più sulle acidità e i risultati sono straordinari. Ad un patto però: che la pizza resti qualcosa di essenzialmente semplice. Proprio ieri ho fatto una cena per alcuni degli uomini più ricchi d'America a New York e sono impazziti per la pasta e patate e la colatura di alici di Cetara». Ma lo scambio di tecniche e di saperi non è unidirezionale. Massimo Bottura nel maggio scorso ha presentato alle Strade della Mozzarella «Polenta e Riso preparati come una pizza», ossia risotto cotto nel latte fresco, mozzarella, pomodoro e polenta che ha poi messo in carta alla Francescana di Modena. Il numero due del mondo per la 50Best e Tristellato è riuscito a tradurre in un piatto del Nord i sapori tipici della pizza napoletana, ossia la perfetta fusione tra mozzarella, pomodoro e il panetto di farina idratato cotto in meno di un minuto a 450 gradi.

Ma lo sdoganamento dei pizzaioli nell'alta ristorazione ha un momento preciso: fu quando i fratelli Cerea del tristellato Da Vittorio a Brusaporto, invitarono i fratelloni Francesco e Salvatore Salvo di San Giorgio a Cremano a tenere una serata da loro. Parliamo di due anni fa ma sembra un secolo: nel cuore della Padania fu subito sold out e tali e tante furono le richieste da imporre il bis. Da quel momento è stato un via vai Nord-Sud e viceversa, con puntate di maestri pizzaioli in Franciacorta per il festival e in Piemonte. E al congresso di Paestum la sezione della pizza è un momento irrinunciabile, come pure a Milano a Identità Golose ideata da Paolo Marchi.

Ma quale sarà il futuro della pizza nell'alta gastronomia? Sicuramente il binomio è sempre più inscindibile, come testimonia l'apertura del forno al Don Alfonso con le visite dei pizzaioli a Sant'Agata sui Due Golfi. Ma sostanzialmente possiamo individuare due tendenze.

La prima è quella dei pizzaioli aderenti alla tradizione che però hanno notevolmente migliorato la qualità dei prodotti contribuendo allo sbocco commerciale di tanti prodotti dei marchi dop o dei presidi Slow Food. L'altra è una tendenza a staccarsi dal prototipo della pizzeria classica per offrire sempre più servizi, come ha fatto Enzo Coccia con la sua seconda apertura a via Caravaggio dove ha introdotto per la prima volta lo Champagne in carta o come ha fatto la settimana scorsa Franco Pepe che a Caiazzo ha aperto la prima sala hi tech con tre tavoli, uno dei quali con vista sul forno.C'è anche la terza, in verità: quelli che tengono i prodotti buoni solo sul bancone e si affidano solo a un po' di comunicazione.

Ma questa è un'altra storia. Quella dei furbi poco intelligenti.l.pigna.© RIPRODUZIONE RISERVATA

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